La largaiola (raccoglitrice di resina) Chiara Iori

Fin da piccola Chiara Iori ha seguito il padre nei boschi per imparare una professione antica, ma che anche oggi è richiesta soprattutto dalle ditte farmaceutiche

Con papà Mauro, mamma Luisa e il fratello Oscar porta avanti una tradizione ereditata dal nonno: gli Iori sono gli ultimi raccoglitori di resina del Trentino

Chiara, qual è il suo mestiere?

Raccolgo la resina. È un lavoro che ha un nome particolare: la largaiola.

Da quali piante la raccoglie?

Solamente dal larice.

Con chi lavora?

Con mio padre Mauro, mia madre Luisa e mio fratello Oscar: tutta la famiglia fa questa professione.

Come è nata questa passione?

È un lavoro che faceva già mio nonno, poi ha continuato mio papà, e io fin da piccolina andavo sempre con lui nei boschi. Mi piace perché si è sempre all’aria aperta, in mezzo alla natura.

A cosa serve la resina?

Noi la vendiamo a ditte che realizzano prodotti farmaceutici, ma ha un utilizzo casalingo per tante cose: togliere le schegge, curare le infezioni. La trementina – questo il nome della resina che vendiamo – si usa anche in liuteria, nella costruzione di strumenti musicali, e recentemente hanno iniziato a chiederla anche per la produzione di oli essenziali.

Ma si utilizza da sempre?

In medicina la resina si usa da secoli, ma ha avuto anche altri utilizzi: pensate che i tronchi di larice che tengono a galla la città di Venezia sono stati fatti bollire nella resina per renderli impermeabili prima di piantarli, e lì l’acqua non entrerà mai.

Come si raccoglie la resina dall’albero?

Bisogna prima selezionare le piante di larice giuste, che abbiano una certa grandezza, e con degli appositi strumenti bisogna fare un foro nel tronco, che poi tappiamo con un tappo, sempre in legno di larice, realizzato da noi con un tornio. Una volta fatto il foro dobbiamo aspettare qualche anno prima di tornare all’albero, quindi con il piccone togliamo il tappo e con vari attrezzi raccogliamo la resina che si è prodotta nel foro.

Perché bisogna aspettare così tanto tempo?

Perché è un processo lento, non esce immediatamente una volta fatto il buco. La resina per il larice è come il sangue per noi, che va a cicatrizzare la ferita che gli ho fatto, anche se la pianta non soffre. Inoltre, la raccolta viene fatta solo nei mesi estivi.

Per quale motivo?

Perché la resina all’interno della pianta scende solo con il caldo. Abbiamo provato anche a novembre ma è molto dura. È come la crema di cioccolato, che con il caldo si scioglie e con il freddo si solidifica. Poi girando nel bosco quando piove, su terreni non pianeggianti, c’è il rischio di scivolare e farsi male, quindi meglio farlo con la bella stagione.

Che lavoro fate in inverno?

Siccome ci piace stare all’aria aperta lavoriamo come impiantisti nella zona di Folgarida e Marilleva.

Vi capita di incontrare animali?

Certo, piccoli cervi, selvaggina, uccelli di vario genere, scoiattoli che vengono a farci dispetti.

Quanti largaioli ci sono in Trentino?

Siamo rimasti solo noi. Per trovare qualche collega dobbiamo andare in Alto Adige.

Da quanti alberi raccogliete resina ogni estate?

Di media facciamo 25-30 mila piante.

E quanta resina raccogliete?

Circa 25 quintali di resina all’anno.

Quanto tempo serve per estrarre la resina da un albero?

Dipende da quanta resina c’è. Se è vuoto si chiude e si va oltre, altrimenti si raccoglie, e ci si mette circa 5 minuti per pianta.

Quanti alberi dovete forare per fare un chilogrammo di resina?

Dalle 10 alle 12 piante. La media è di 100-105 grammi a pianta, ma non è detto che tutte le piante producano resina: c’è quella che riempie il foro e fa 250-300 grammi, ma ci sono anche piante che non ne producono.

Una volta forata la pianta si può forare di nuovo?

No, noi facciamo il foro, poi aspettiamo 3 anni e quindi andiamo a raccogliere la resina. Con l’andare del tempo, però, per tornarci dobbiamo aspettare sempre più anni, perché la pianta non sente più la ferita e non produce più tanta resina.

Come fate a ricordare che piante avete forato?

Di solito ci teniamo scritto su quali versanti e quali montagne andiamo, e per riconoscere gli alberi lasciamo dei segni particolari sulla corteccia. Ma stiamo ancora raccogliendo resina da piante che sono state forate 100 anni fa o più, che  sono ancora in produzione.

Vi è mai capitato che qualcuno vi dicesse qualcosa mentre forate un albero?

Sì, spesso c’è chi non sa cosa stiamo facendo, ma noi prima di andare in un bosco chiediamo tutte le autorizzazioni necessarie. In Trentino il nostro lavoro è regolato da una serie di leggi provinciali. Una volta è arrivato un signore con una lima, perché aveva sentito un rumore strano e pensava che la lama della motosega dovesse essere affilata, ma noi non stavamo tagliando, stavamo forando!

La tempesta Vaia ha causato problemi al vostro lavoro?

No, perché il larice è un albero molto resistente, ha tre radici difficili da sradicare. Fa più danno la neve pesante che si accumula sull’albero e tende a piegarlo.

Avete potuto lavorare anche durante la pandemia?

Sì perché eravamo all’aria aperta, rispettavamo le distanze, e lavorando in famiglia siamo pure congiunti.

È un lavoro pericoloso?

No, la nostra paura peggiore è quella di essere punti da zecche infette dalla malattia di Lyme, che porta l’encefalite: per questo siamo tutti vaccinati, e quando andiamo nel bosco abbiamo con noi uno strumento che le allontana grazie agli ultrasuoni che emette.

Come ci si pulisce dalla resina?

Quando resta attaccata ai vestiti serve l’alcool, dalle mani invece si toglie con l’olio.

Intervista a cura della classe 2A della scuola media dell’Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice di Trento

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