Il videomaker Marco Busacca

Marco Busacca è cofondatore della Busacca Produzioni Video, dove lavora assieme al papà Diego

Documentari, spot, eventi sportivi: la telecamera sale in quota per raccontare la bellezza della montagna

Marco, qual è il suo mestiere?

Sono un videomaker, produco video.

Perché fa questo lavoro? 

Mio papà Diego lo faceva già. Così, a 18 anni, ho preferito andare a lavorare con lui che proseguire con gli studi. Sono quasi vent’anni che lavoriamo insieme: e devo dire che negli ultimi anni andiamo anche molto d’accordo.

Cosa le piace del suo lavoro?

Certamente il fatto che mi permette di girare tantissimo: sono stato in un sacco di posti.

Qualche esempio?

In Alaska due volte, ed è il posto che mi è piaciuto di più anche se in inverno pieno le temperature raggiungono anche i -40 gradi. E poi in Cina, in Sud Africa, Germania, Svizzera, Austria,…

Ha mai avuto nostalgia durante i suoi viaggi?

Quasi mai, tranne quando non vedo le montagne attorno a me e allora, ammetto, mi viene un po’ di magone.

Ma quanto si impiega a creare un video?

È una domanda difficile perché naturalmente cambia da video a video. Che può essere anche breve, di pochi minuti come quelli che vi abbiamo appena mostrato, ma che magari richiede riprese in stagioni diverse. E poi c’è tutta la fase di montaggio, della ricerca delle musiche adatte. Capite che realizzare un video può richiedere anche un anno intero. E per questo bisogna lavorare a più progetti assieme, non mi capita quasi mai di fare una sola cosa al giorno.

Le è mai capitato di voler cambiare lavoro?

Ci ho pensato, ma agli inizi, perché lavoravo molto con la televisione, ad esempio con i reality. Ammetto, non è un mondo che mi piace molto, e da lì è emerso quale dubbio. Che poi è passato quando mi sono spostato totalmente sulla montagna…

Quelli di montagna sono i suoi video preferiti?

Decisamente, anche perché non amo particolarmente il caldo…

Abbiamo visto dei suoi video spettacolari. Ma ha paura quando lavora in quota?

Non più di tanto, perché comunque vado già in montagna. Io penso a ‘girare’ le immagini e quando guardo nell’obiettivo della videocamera non sono distratto da quello che mi circonda.

Ma che strumenti usa per il suo lavoro?

Ovviamente la telecamera, non uso praticamente mai il telefono, poi è utilissimo lo stabilizzatore a tre assi che permette di fare un’immagine più fluida. E naturalmente il computer e i programmi per il montaggio. Poi, sapete, al di là degli strumenti, per fare un bel video c’è sempre bisogno di una buona idea.

Utilizza effetti speciali?

Dipende anche in questo caso dal tipo di video: nei documentari si racconta la realtà senza modificarla, negli spot invece possiamo utilizzare i cosiddetti VFX, Visual Effects.

Ha un video a cui è particolarmente legato?

Non ne ho uno preferito. Anche perché, quando li rivedo a distanza di tempo, cambierei sempre qualcosa.

Marco Busacca al Parco dei Mestieri della Montagna – foto © Gianni Zotta

Come è cambiata nel tempo la tecnologia?

Quando ho iniziato io c’erano le betacam, grandi più del doppio di quelle attuali; il problema maggiore di quelle telecamere erano le batterie, con una facevi dieci minuti, in una giornata dovevi andare in giro con trenta batterie… Al tempo, quando facevo le riprese mentre sciavo, mi portavo addosso una telecamera da 11 chili (mentre quelle attuali sono da due chili), il cavalletto da dieci, più tutte le batterie: insomma, lavoravo con trenta chili in più addosso.

Ha girato video in situazioni di emergenza?

Mi è capitato di lavorare per l’Elisoccorso di Trento, sono stato una settimana con loro, documentando situazioni reali.

Le è mai capitato un incidente?

Niente di serio, questo è un mestiere di montagna e si lavora in condizioni difficili, quindi bisogna essere equipaggiati in maniera corretta. Anche per questo porto con me sempre l’arva, un dispositivo che trasmette ai soccorritori un segnale in caso di valanga.

Il suo è un lavoro faticoso?

Faccio fatica sì! Anche perché ormai l’elicottero non si usa quasi più per questioni legate ai costi ma anche ecologiche. Quindi il luogo dove si “gira” va raggiunto zaino in spalla, a piedi, o con gli sci da alpinismo. Bisogna arrangiarsi. E soprattutto quando si è in montagna, bisogna essere sempre in grado di tornare a casa con le proprie gambe.

Qual è la cima più alta sulla quale è salito?

Sono arrivato appena sotto il Naso del Lyskamm sul monte Rosa, attorno ai 4.000 metri.

Come si fanno le immagini aeree se non si utilizza più l’elicottero?

Con il drone che va molto bene e che fa le riprese più stabili rispetto a me sull’elicottero. Quando le faccio a mano posso essere influenzato da tanti fattori: dagli sbalzi del velivolo, dal vento, dalla conoscenza o meno del pilota, ad esempio.

È un lavoro che le costa molti sacrifici?

Fino a tre quattro anni fa ho lavorato spesso tutti e sabati e le domeniche.

Lavora da solo o ha qualche collaboratore?

Nella mia ditta siamo io e mio papà. Ho poi alcuni collaboratori che mi danno una mano, in base al lavoro che ho da fare.

È mai stato protagonista di un suo video?

Mai, sono talmente abituato a stare dietro alla telecamera che mi vergognerei tanto a mettermici davanti.

È il solo in Trentino a fare questo mestiere?

Certo che no! Ce ne sono un sacco, più o meno specializzati: alcuni, ad esempio, sono anche guide alpine per cui magari riescono a fare delle cose più “estreme” rispetto a quelle che faccio io. L’importante è sapersi muovere bene in montagna.

Che consiglio darebbe a chi volesse avvicinarsi a questo lavoro?

Innanzitutto bisogna studiare, perché anche i video hanno le loro regole che vanno seguite. E poi consiglio di fare uno stage, che è molto importante e che permette di imparare tanto, affiancando chi è già del mestiere e, magari, “rubandogli” qualche trucco.

Intervista a cura della classe 1C della scuola media Arcivescovile

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