Anche quest’anno, per la settima edizione, anche Fondazione Caritro ha aderito a “Per Aspera ad Astra: riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza”, il progetto di Acri che dal 2018 ha portato percorsi di formazione professionale nei mestieri del teatro in più di venti carceri italiane, coinvolgendo oltre mille detenuti.
Tra le 16 compagnie che partecipano c’è anche la trentina Finisterrae Teatri, con Camilla da Vico e Giacomo Anderle, che a Trento nel carcere di Spini di Gardolo è riuscita a coinvolgere in un unico progetto teatrale detenuti comuni, detenuti in regime protetto e femminile.
I laboratori si concludono con uno spettacolo al quale, oltre ai detenuti e alle detenute, assiste il personale e gli operatori del carcere, il Garante dei diritti delle persone detenute, magistrati e altri invitati. “Vorremmo diventasse uno spazio aperto alla cittadinanza”, racconta Camilla de Vico, che immagina cittadini comuni tra il pubblico: “Noi cerchiamo di facilitare l’incontro con se stessi, al di là del reato, questo è il nostro modo di lavorare. Non ci sono battute da assegnare ma un tema da affrontare e un cammino da compiere, che è quello alla ricerca di mondi diversi, spazi di libertà. Sarebbero vuote le battute di un copione che non ha un contatto vero e profondo con la loro vita“.
L’esperienza artistica porta allo stare insieme, a riflettere, a potersi esprimere, confrontare e infine dare vita ad uno spettacolo. Tutto ciò in modo leggero, ludico, apparentemente spontaneo. “In carcere abbiamo bisogno di trasformare i limiti in opportunità e questa è la chiave per aprire le porte”, afferma Camilla da Vico: “Un limite, ad esempio, è la documentazione, far conoscere queste esperienze all’esterno per ovvi motivi di privacy, ma ci si è aperta la porta delle voci, che hanno una libertà e un’unicità ancora più forte delle immagini”.
I temi dello spettacolo girano attorno alla domanda esistenziale “cosa ci rende umani?”. Le risposte arrivano mettendosi in gioco. «Mi sono sentito in uno spazio protetto dove trovarmi, sperimentarmi, ho sentito senso di appartenenza, ho sentito il gruppo. Questo percorso ci ha fatto dimenticare che siamo in prigione e ci ha ricollegati al nostro esseri umani, alla libertà di provare a sentirci di nuovo umani» racconta uno dei detenuti. Un altro gli fa eco: “Quando ci incontriamo in giro, la prima domanda che ci facciamo è: “tu perché sei qui?” Questo non è mai successo a teatro. Questo percorso ci ha portati a non farci certe domande e a permetterci di scoprire la persona senza pregiudizi“.
Oltre ai progetti teatrali, la Fondazione Caritro promuove e sostiene altre attività per il carcere, come “Sex Offender”, un percorso psicoterapeutico di gruppo e individuale destinato ai detenuti condannati per reati sessuali. Entro l’anno il progetto dovrebbe essere esteso anche a chi è uscito dal carcere sempre per reati di natura sessuale o di maltrattamenti. Sono circa dieci all’anno e l’obiettivo dell’intervento è quello di sostenerli nella delicata fase di reinserimento funzionale all’interno della società, al fine e contenere il rischio della recidiva.
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