Lo spunto
La risposta “lunga”(che si dà alle tante domande poste dalla nuova normativa sulle autonomie) è che il Trentino in via di principio non ha da temere dal nuovo regime di autonomia differenziata che si prepara per le regioni ordinarie. Purché sappia mantenere vive le condizioni di contesto in cui la sua autonomia speciale è cresciuta e si è rafforzata. La garanzia costituzionale e i meccanismi della Commissione dei 12 altrimenti da soli non sono sufficienti. Più in generale, non bastano le istituzioni politiche se continua a crescere la loro distanza dai cittadini e dalle organizzazioni della società civile. Queste sono le questioni che oggi andrebbero affrontate: qual è lo stato di salute delle istituzioni sociali, dove sono presenti delle energie innovative in grado di proporre qualche positiva discontinuità, dove si formano visioni coraggiose di futuro? Sono le domande che hanno nutrito la cultura dell’autonomia nel corso della sua storia. E continuano ad essere le domande alle quali occorre dare risposta se non si vuole che l’autonomia si svuoti di significato per diventare un fragile guscio.
Gianluca Salvatori
Ha perfettamente ragione Gianluca Salvatori, studioso e politologo, conoscitore di tutte le “varianti” autonomistiche in Europa grazie anche al suo ruolo trainante in Euricse, nel sostenere come formalmente l’autonomia “differenziata” non dovrebbe mettere in discussione, né danneggiare, l’autonomia del Trentino e dell’Alto Adige – Südtirol raggiunta nel 1972 col Pacchetto. E però la nuova normativa muta il “contesto” delle autonomie e dovrebbe quindi costituire uno stimolo per una riflessione dell’autonomia speciale trentina su se stessa, sulla sua funzione e sul suo ruolo, perché l’autonomia, in questo angolo delle Alpi, ha potuto realizzarsi e risultare efficace proprio grazie a un “contesto” specifico, ed è su questo–sul potenziare gli elementi che lo rafforzano-che dovrebbero concentrarsi le scelte politiche e l’impegno civile dei cittadini, per impedire che tutto si diluisca e si corrompa in un generico autonomismo che spesso porta con sé i germi dell’egoismo, della chiusura, del divario fra blocchi sociali incentivati e subordinati.
In questa cornice, appunto, anche se non cambia nulla, il Trentino dovrebbe chiarire a sé stesso molte cose. Prima fra tutte la consapevolezza della sua tradizionale sobrietà, radicata in tutte le condizioni, che si traduce in un impegno a rendere più rigorosa l’amministrazione del bene pubblico, secondo il principio sostenuto da De Gasperi, che le autonomie si legittimano se offrono ai loro cittadini servizi migliori dello stato a costi più contenuti e controllati. Ciò comporta investimenti anche importanti (e così fu negli anni migliori dell’autonomia, con l’Istituto trentino di cultura e l’Università, con l’urbanistica e i parchi, con la sanità pubblica, con la casa, non con gli eventi mediatici e populistici, con gli eventi di evasione, con il “panem et circenses”.
Questo è il primo contesto da valorizzare per impedire che prima o poi anche l’autonomia trentina, pur con il suo ancoraggio internazionale grazie all’aggancio con Bolzano, venga travolta dalla probabile reazione di rigetto anti autonomistico che si creerà nel Paese a fronte di disparità che possono manifestarsi, al nord come al sud, di fronte a malfunzioni (se ne sono visti alcuni segnali preoccupanti ai tempi della prima ondata di Covid), sprechi o alla presa di potere di gruppi e “lobby” di interesse monopolistici e, per così dire, “opachi”, un pericolo sempre presente che le autonomie possano trasformarsi in clientele e baronie. Ma l’autonomia trentina ha potuto affermarsi con successo – benché non manchino limiti e distorsioni – anche perché nasceva da un contesto di altri elementi favorevoli. E fra questi un sistema di autonomie diffuse – Comuni e Bezirk comprensoriali – decentrato, di impianto asburgico, che suddivideva le responsabilità impedendo la concentrazione dei poteri (in Rendena, come dice l’adagio, ma non solo in questa valle, “baroni no gh’en regna”); poi una propensione alpina a “fare da sé” prima di chiedere aiuti e interventi superiori, una scolarità di base diffusa, la presenza del movimento cooperativo. Scuola e Cooperazione, in questo contesto sono ancora i pilastri che sostengono le ragioni di un’autonomia equilibrata e giusta ed è su questi principi che il Trentino deve riflettere, sono questi i pilastri che deve rafforzare.
Certo anche le leggi sono importanti perché creano il tessuto culturale e comportamentale su cui una società cresce o naufraga, ed anche il Trentino dovrà affrontare, prossimamente, la nuova legge sulle autonomie e confrontarsi con essa attraverso un referendum.
Che fare? Andare o non andare a votare? Per i Trentini il quesito è particolarmente delicato, perché essi non possono sconfessare la loro autonomia, ma nemmeno avallare autonomie che – stando al parere degli esperti più autorevoli – ben difficilmente funzioneranno, perché inserite in un meccanismo farraginoso soprattutto dal punto di vista finanziario. Che fare? Innanzitutto, andare a votare per garantire il raggiungimento del “quorum” e quindi la validità del voto.
Quanto al voto posso solo dire come mi comporterò personalmente. Voterò “no” all’autonomia differenziata (ma occorre attendere le domande del referendum per capire veramente), “no” alla legge, quindi, pur essendo e sentendomi sostenitore delle autonomie e consapevole che, forse, date le condizioni del mondo, anche l’Europa si avvierà ad essere un’Europa delle Regioni (anche transfrontaliere come l’Euregio), più che un’Europa delle nazioni. Ma “no” a questa legge per ragioni di metodo che diventano poi di sostanza. Perché una legge costituzionale, come è quella sulle autonomie, è tale perché richiede una maggioranza qualificata. Ciò non è avvenuto. Non si può affidare una riforma di queste dimensioni ad una maggioranza di governo salvo poi proporre la rete di sicurezza di un referendum, strumento elettorale populistico. Occorre por fine al malcostume di maggioranze di governo che cambiano la costituzione e poi si rivolgono direttamente al popolo. Si cerchino le maggioranze qualificate in Parlamento, che è la loro sede.
No, grazie.
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