A Parigi una tregua olimpica per un mondo davvero inclusivo

“Le Olimpiadi, secondo l’antica tradizione, siano occasione per stabilire una tregua in guerra, mostrando una sincera volontà di pace. Auspico che questo evento possa essere il segno del mondo inclusivo che vogliamo costruire e mandi modelli ai giovani”.

Questo auspicio, lanciato da papa Francesco nell’Angelus della domenica precedente l’apertura delle Olimpiadi di Parigi, suona come l’eco di una splendida utopia che ha accompagnato infinite edizioni dei Giochi.
Utopia rilanciata con forza, nella speranza che vi sia un’inversione nella storia di questo rapporto tra guerre e Olimpiadi, finora concluso con la vittoria reiterata delle prime. Le guerre, in atto o incombenti, continuarono il loro corso indifferenti agli appelli, aggiungendo tra le “vittime” anche le diverse edizioni dei Giochi olimpici, non disputati.

Molto più sensibili erano i protagonisti delle Olimpiadi epiche della Grecia antica quando, in effetti, lo sport riusciva a conseguire la sua prima importante vittoria: sospendere o cancellare guerre in corso.

In quelle che vengono definite le “Olimpiadi moderne”, reinventate da Pierre De Coubertin, alla fine dell’Ottocento, esistono solo esempi contrari e, su tutti, le due guerre mondiali che cancellarono le Olimpiadi del 1916, 1940, 1944. Nel 1936 furono disputati i Giochi Olimpici, invernali ed estivi, più mortificanti della storia perché affidati alla Germania, in pieno regime nazista, e Adolf Hitler non mancò di approfittarne per esaltare la sua propaganda razziale contro ebrei, persone di colore e cittadini portatori di handicap.

Storico lo scontro tra il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale e Hitler a proposito di un cartello apparso su una vetrina in un sito olimpico: “Vietato l’ingresso a cani ed ebrei”. Dopo dura lotta vinse lo sport e il cartello fu tolto, anche se rimasero tutte le discriminazioni, sui campi e in ogni sede olimpica.

Alle lacerazioni morali e materiali delle guerre combattute succedettero i boicottaggi, le guerre fredde e le diatribe politiche tra Stati ad escludere bandiere e campioni potenziali.

In questa parentesi storica, chi scrive debuttò come cronista RAI-TV alle Olimpiadi, seguendone otto edizioni dal 1976 al 1994, cinque estive e tre invernali. Schivai per un soffio le tragiche Olimpiadi di Monaco del 1972 dove undici atleti ebrei furono sequestrati e poi uccisi da un commando arabo di Settembre Nero. Le gare continuarono, ma in un clima drammatico che si riverberò anche sulle Olimpiadi successive nel 1976 a Montreal, in Canada.

Già all’arrivo in aeroporto ci trattennero tre ore per ispezionare meticolosamente il nostro bagaglio. Al controllo del metal detector del villaggio olimpico un giorno un agente prese un cacciavite per smontare il registratore con cui facevo le interviste, convinto che celasse armi. Lo avrebbe distrutto. Fortunatamente la mia reazione ed il buon senso di un suo collega evitò il peggio.

Era solo il preambolo di quello che ci aspettava a Mosca nel 1980, quando la Russia si chiamava ancora URSS ed era governata dal più severo regime comunista. A mettere un carico sulla briscola dell’odio politico fummo preceduti dal boicottaggio
degli USA per i soliti motivi della Guerra fredda. Tutti i giornalisti occidentali furono alloggiati in un mega hotel di 2.500 camere, blindato come una fortezza. Ad ogni ingresso c’era un metal detector come all’aeroporto. Fu un inferno di problemi muoversi sui campi e al villaggio, assediati dagli spacciatori di rubli al mercato nero: sei contro un dollaro. Il cambio ufficiale era l’opposto: sei dollari per un rublo. Se la polizia ti coglieva in flagranza di cambio c’era l’arresto.

Quattro anni dopo a Los Angeles furono i russi a ricambiare la scortesia non inviando atleti. In realtà proprio questi ultimi erano e sono le vere vittime di questi boicottaggi perché per molti l’occasione di un’Olimpiade è unica nella vita.

Si sperava di stare tranquilli nel 1988 a Seul, in Corea del sud, ma quella del nord, con il bizzoso leader di turno, mise pali tra le ruote pretendendo le cerimonie di apertura e chiusura. Altrimenti nulla sarebbe stato sicuro a sud. Il CIO rifiutò ogni compromesso e, ancora una volta, vivemmo un’Olimpiade militarizzata.

Finalmente,nel1992, a Barcellona trovammo le prime vere Olimpiadi serene, in una città che ne aveva fatto l’occasione di rilancio per la sua storia.

Le mie prime Olimpiadi invernali furono a Sarajevo, nel 1984, in una cornice di trepida attesa di ciò che sarebbe successo una volta ammainata la bandiera a cinque cerchi. In effetti, poco tempo dopo, sulle colline dalle quali raccontai le gare di sci nordico, furono collocati i cannoni che distrussero gran parte della città. Fortunatamente nelle successive invernali di Albertville 1992 (Francia) e Lillehammer 1994 (Norvegia) vinse lo sport a tutto campo. E vinse la storica staffetta italiana su quella norvegese. Come andare in Brasile e battere i “carioca” nella finale dei mondiali di calcio.

Da quegli anni ad oggi sembrava che il rapporto Olimpiadi-guerre appartenesse ad una storia lontana. Era persino caduto il Muro di Berlino. Invece si è riavvolto il nastro della storia e un Papa deve tornare a pregare e implorare per ricordare che sport e guerre non possono coesistere, in un mondo civile.

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