Lo spunto
Alle ore 12, 21’ 55” del 19 luglio 1985 cede l’arginatura del bacino superiore ( della discarica mineraria di Prestavel sopra Stava, laterale della Val di Fiemme a pochi chilometri da Tesero, ndr), che a sua volta crolla. La massa fangosa composta di sabbia, limi ed acqua scende a valle ad una velocità di circa 90 chilometri orari e spazza via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontra , fino a raggiungere la confluenza del torrente Avisio. Poche fra le persone investite poterono sopravvivere. Lungo il suo percorso la colata di fango provocò la morte di 268 persone, la distruzione completa di tre alberghi, , 53 case di abitazione e sei capannoni. 8 ponti furono demoliti e 9 edifici gravemente danneggiati.
Mauro Lando, Dizionario Trentino, Curcu& Genovese, 2011
La notizia di quel fiume di fango che poco dopo mezzogiorno aveva travolto Stava si diffuse con un certo ritardo e una grande incertezza. Nelle redazioni dei giornali si affacciò subito lo spettro di un altro Vajont, perché si disse che era crollata una diga nella zona di Fiemme, la valle già colpita dalla tragedia del Cermis. Ma non poteva essere così, perché non c’erano dighe in quella zona, a parte i bacini artificiali di Fedaia, Forte Buso e Stramentizzo, che però avrebbero prima interessato la val di Fassa, Predazzo e la val di Cembra. Ma dove allora ? Furono i primi cronisti inviati subito su a Cavalese a riferire che il disastro era avvenuto in val di Stava, sopra Tesero. Spiegarono che erano davvero crollate due “dighe”, che in verità erano argini di terra che sostenevano una discarica mineraria, in un angolo poco conosciuto della valle di Stava. Avvertirono che in quella splendida valletta di profonde radici “fiemmazze”, molto frequentata da turisti e artisti, tutto era stato travolto: le dimensioni del disastro erano superiori ad ogni immaginazione. Il nostro direttore dell’allora ”Alto Adige” (Luciano Ceschia) decise di affiancare ai giornalisti inviati da Trento anche una squadra di cronisti bolzanini, formando una sorta di “unità di crisi” giornalistica che si mise a lavorare senza soste per raccogliere notizie e testimonianze, ma anche per cercare di capire le cause del disastro (nessuno, tranne i tecnici del settore, sapeva che vi fossero dighe e discariche lassù), mentre i bravissimi giovani volontari dei vigili del fuoco di Tesero ( vedi pag. 8 ) portavano i primi soccorsi e recuperavano le prime vittime. A 39 anni di distanza ricordiamo la prima reazione, che fu di pietà e di vicinanza umana. Domenica 21 luglio l’arcivescovo di Trento, Alessandro Maria Gottardi, celebrò nella chiesa di Tesero la Messa in suffragio delle vittime assieme al cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, alla presenza del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. All’omelia mons. Gottardi commentò che “verità e giustizia sono invocate da questo torrente di sangue, perché mai più, per nessun motivo l’uomo risulti comunque vittima dell’uomo.” Resta questa anche oggi la prima e principale “lezione” civile di Stava a fronte di tante morti ancora quotidiane sul lavoro. Vi fu anche una conseguenza politica, un autentico terremoto in Provincia, allora presieduta dall’avvocato Mengoni con una giunta Dc,Pli, Pri. Con Stava, l’autonomia aveva perso per così dire la sua “innocenza”, il suo smalto. Con il Piano urbanistico si era posta come modello per tutta Italia nella gestione del territorio, mentre ora dimostrava debolezze, incapacità nei controlli, fragilità. Anche per ragioni nazionali Mengoni si dimise , coltivò i rapporti con i socialisti autonomisti trentini di Mario Raffaelli e Walter Micheli e preparò ad ottobre una nuova giunta con il Psi accanto a Pri e Pli. All’ultimo momento però la Dc gli preferì Pierluigi Angeli (che era presidente della Regione), mentre Micheli assunse la vicepresidenza, dando il via ad una politica urbanistica che portò al secondo piano urbanistico provinciale, i (1987) ai parchi e alla legge di impatto ambientale.
Sul versante giudiziario il giudice istruttore Carlo Ancona, con un’accuratezza e una metodologia che ancora viene giudicata esemplare, portò alla luce tutte le manchevolezze e le superficialità che avevano caratterizzato la crescita dei bacini crollati nelle varie gestioni (dalla Montedison alla Prealpi).
Potremmo dire che oggi il vero monumento a quella tragedia resta la Fondazione Stava, istituita dai familiari delle vittime, soci fondatori i Comuni di Tesero, Longarone, Cavalese, la Magnifica Comunità, perché tragedie simili non abbiano più a ripetersi (eppure negli anni passati molte altre ve ne sono state nel mondo, di proporzioni anche immani, dal Brasile al Canada). La Fondazione è un monumento di uomini, donne e buona volontà, non di pietre , perché tragedie simili non abbiano più a ripetersi, come il presidente Graziano Lucchi e il responsabile operativo Michele Longo hanno ricordato pochi giorni fa salutando il nuovo Commissario del Governo Giuseppe Petronzi che, da poco insediato, come uno dei primi atti nel Trentino ha voluto, con molto tatto, portare la sua testimonianza di solidarietà proprio a Stava. La Fondazione persegue una memoria attiva attraverso il Centro di documentazione a Stava. Il Centro è frequentato da oltre 5mila persone ogni anno, moltissime sono le scuole, non mancano contatti e gemellaggi anche all’estero, un sito tenuto costantemente aggiornato e un docufilm girato da Gabriele Cipollitti, il regista di Piero Angela. L’uomo non deve prevaricare sull’uomo, questa è la “lezione” di Stava, perché la tragedia non è stata provocata da fatalità, ma da un “mix” di prepotenza e arroganza da un lato (il potere e il profitto), e di sudditanza delle responsabilità dall’altro (i controlli non sufficientemente rigorosi).
Ed è questo “mix”, che spesso fa da sottofondo a tante iniziative anche oggi, che la Fondazione vuole sciogliere, che la memoria attiva di Stava intende spezzare.
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