21 luglio 2024 – Domenica XVI Tempo Ordinario B
Ger 23,1-6; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34
«Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose». Mc 6,34
Con questa domenica concludiamo la serie di riflessioni che la Parola di Dio ci ha invitato a fare sulla figura, sul ruolo e sul significato dei pastori all’interno del popolo di Dio. Dio stesso è il pastore che si prende cura del suo gregge: «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno» (Ger 23,3). Questa cura personale del pastore per il gregge si manifesterà con uno spessore tutto particolare nel ministero di Gesù Cristo, che nelle folle che lo cercano e lo seguono vede un gregge sbandato “pecore senza pastore”, delle quali è necessario avere compassione e cura (cfr. Mc 6,34).
In secondo luogo, Dio costituisce alcuni come suoi collaboratori nel ministero pastorale: «Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore» (Ger 23,4). Questo modello di intervento personale e di intervento mediato di Dio ci aiuta a comprendere anche il servizio pastorale della Chiesa come una partecipazione al ministero di Cristo. Ecco perché esistono i Vescovi, ecco perché esistono i sacerdoti, ecco perché esistono ministeri, servizi e responsabilità particolari dentro la comunità cristiana.
Esiste anche un criterio per discernere quando il ministero pastorale è vissuto nella prospettiva corretta e quando è vissuto invece secondo una logica sbagliata. Il pastore autentico si prende cura del gregge, si commuove per esso, è un ministro di unità, favorisce la crescita personale di coloro che gli sono stati affidati. Il falso pastore invece semina divisione nel gregge, non se ne occupa, fa da padrone, sfrutta il gregge e lo conduce alla rovina.
La seconda lettura aggiunge a questa riflessione una nota di profondità mistica: Gesù, nel suo ministero di pastore è arrivato al punto di dare la vita per abbattere il muro dell’inimicizia che separa il popolo eletto (Israele) dagli altri popoli (i cosiddetti “pagani”) e attraverso il dono di sé, realizzato sulla croce, ha compiuto la riconciliazione universale ed è diventato la nostra pace. È così che l’umanità intera è diventata un solo gregge superando le divisioni etniche ed è perciò chiamata a riconoscere in Gesù Cristo il suo unico pastore. È questo l’orizzonte sul quale collocare anche il nostro impegno per la riconciliazione e la pace in contesti lacerati proprio da conflitti basati su divisioni etniche e rigurgiti nazionalistici.
Su queste tematiche non rifletteremo mai abbastanza. Coloro tra noi che hanno ricevuto da Dio la chiamata a partecipare al ministero pastorale di Cristo non saremo mai sufficientemente autocritici nel valutare il nostro operato: nel discernere se le prese di posizione forti sono dettate da zelo o da prepotenza, se i momenti di condiscendenza sono frutto di compassione cristiana o di incapacità decisionale, se certe scelte spingono alla maturazione o alla divisione del gregge.
Per il gregge e per i pastori è necessario rimanere costantemente orientati verso Gesù Cristo stesso, perché solo così «per mezzo di Lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef,2,18).
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