“Nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute” ha detto con la consueta gravità papa Francesco a Trieste. Ancora una volta il pontefice non ha mancato occasione di richiamare governanti e popoli al rispetto delle regole democratiche. La democrazia, in effetti, da un paio di decenni dà segnali di regressione ovunque, a cominciare dalla nostra Europa. Vi sono buone ragioni per preoccuparsi della democrazia: vale per tutti la famosa frase di Winston Churchill “ la democrazia è la peggior forma di governo possibile, eccezion fatta per tutte le altre forme di governo sperimentate fino ad oggi”. In altre parole, pur essendo come qualunque altra attività umana intrinsecamente imperfetta, essa rimane lo scudo migliore per il rispetto dei diritti umani, delle libertà individuali e dello sviluppo sociale. Di qui i tentativi politici, anche estremi, di proteggerla dai populismi di destra, ma anche di sinistra, che stanno contagiando parte dell’Unione Europea. Si pensi alla democrazia “illiberale” (un ossimoro) dell’Ungheria, del populismo di destra in Olanda, Slovacchia e in qualche misura nel nostro stesso Paese.
Si spiega anche in questo modo la drammatica vicenda elettorale in Francia. La grande affermazione della destra estrema francese di Marine Le Pen nelle elezioni europee di giugno e nel primo turno di quelle nazionali anticipate di fine mese ha fatto temere che fosse ormai spianata la strada per un trionfo dei lepenisti anche nel secondo turno di inizio luglio.
Ma ancora una volta, come in alcune occasioni del passato, l’appello massiccio e continuo al rischio di fare cadere uno dei maggiori paesi dell’UE nelle mani di estremisti anti comunitari, anti Nato e filorussi ha rovesciato i giochi elettorali relegando il Rassemblement National di Marine Le Pen addirittura al terzo posto nel conteggio dei seggi. Davvero un fatto impensabile fino a qualche ora prima dell’apertura delle urne.
Oltre alla paura, ci ha pensato il sistema elettorale a doppio turno a rimediare alle precedenti tendenze elettorali. Ma è chiaro che a vincere è stato il grande richiamo a votare contro una forza politica piuttosto che un chiaro e competitivo programma elettorale. Insomma, una democrazia che ha certamente in sé elementi di imperfezione, ma che tuttavia è riuscita a respingere un possibile attacco a sé stessa evitando il rischio di regimi autoritari e illiberali.
Tutt’altra musica nel caso inglese che casualmente è capitato nella stessa settimana del voto francese. Qui la straordinaria vittoria dei laburisti di Keir Starmer è nata gradualmente negli anni (dodici per l’esattezza) a causa dei ripetuti errori politici dei conservatori inglesi che dopo il disastro della Brexit hanno inanellato errori su errori. Il programma di Starmer, per di più, coglie i punti cruciali del disagio sociale della popolazione, a cominciare dal collasso del sistema sanitario, dal tracollo di quello educativo e delle università, fino al progressivo, ulteriore impoverimento delle classi disagiate. Quindi il leitmotiv non è stato quello di “impedire che vincano gli altri”, ma piuttosto di marcarne le differenze programmatiche per ottenere la vittoria. Ma anche in questo caso a determinare il risultato è stato il peculiare sistema elettorale (sempre il solito da decenni) che ha permesso ai laburisti di incamerare ben il 65% dei seggi a fronte di un risultato elettorale che si ferma al 34%. Insomma, anche la democrazia inglese non è perfetta, ma certamente aiuta subito a comprendere chi è il vincitore e permette di avere nel giro di poche ore (letteralmente) il nuovo governo. Una democrazia efficiente, verrebbe da dire, ma che certamente non rispecchia la complessità di una moderna società e delle sue mille sfaccettature.
In ogni caso a spiegare il ribaltamento del risultato elettorale in Francia e la netta prevalenza dei laburisti a Londra vi è da tenere presente la grande e massiccia partecipazione degli elettori alle votazioni.
In entrambi i casi siamo andati ben oltre il 60% e ciò significa che anche coloro che normalmente non vanno a votare hanno sentito la necessità di un cambiamento di prospettiva e sono quindi accorsi alle urne.
Ora toccherà a entrambi i governi rispondere con i fatti agli appelli degli elettori e alle loro indicazioni di massima. Cosa non semplice particolarmente nel caso francese dove, come si sottolineava, si è andati a votare “contro” e non per un programma alternativo ben preciso. Macron avrà quindi l’enorme responsabilità di trovare una soluzione di governo che rispecchi gli orientamenti dell’opinione pubblica, opinione che ha risposto positivamente al suo azzardo elettorale con le elezioni nazionali anticipate. L’importanza, anche in questo anomalo caso francese, è che si rispettino le procedure democratiche che ancora funzionano in quel Paese. Ne ha bisogno la Francia, ma anche l’Europa, che non avrebbe potuto digerire facilmente in un Paese chiave la nascita di un populismo di destra, come stava manifestandosi nelle votazioni europee e nel primo turno di quelle francesi.
Una Francia sempre più sovranista e sempre più lontana dalla “socialista” Germania avrebbe inevitabilmente interrotto l’azione, oggi purtroppo debole, del motore franco-tedesco vero baluardo di un’integrazione europea che nel suo Dna e nella sua natura profonda è ancora fonte e baluardo delle nostre democrazie nazionali, per quanto imperfette esse siano e ormai contaminate da populismi e autoritarismi in alcuni Paesi membri.
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