Lo Spunto
Le recenti elezioni europee, ma anche le precedenti regionali fino a risalire alle politiche hanno espresso un dato vistoso che nessun analista e gli stessi partiti potrebbero eludere, pena l’essere tacciati di indifferenza ovvero di abituarsi ad una deriva che di fatto falsifica l’esito del voto: senza ombra di dubbio l’astensionismo costituisce un fenomeno che meriterebbe di essere studiato con urgenza perché ormai è stata superata la soglia del 50% di coloro che hanno rinunciato ad esprimere una scelta. Innanzitutto bisognerebbe capire se questa tendenza ormai sedimentata, tanto da far dire che viviamo una sorta di democrazia minoritaria, possa essere ascritta ad un deficit partecipativo, imputabile ai cittadini-elettori. In parte potrebbe essere così, tuttavia altre potrebbero essere le cause, come spesso ricorda il Censis di Giuseppe de Rita; fra queste, la rinuncia dei partiti a farsi strumento di interrelazione con i cittadini per porsi invece come macchine di consenso per i leader. Si vota infatti per la persona che si conosce, per cui si ha fiducia, non per un simbolo astratto.
Francesco Provinciali (“Il Domani d’Italia”)
L’astensionismo, sotto la soglia psicologica del 50 per cento, è un problema serio per la rappresentanza nelle istituzioni e merita di essere approfondito nei dettagli con le specificità che il voto europeo (ma anche il successivo voto nei Comuni per i ballottaggi) ha manifestato nei vari territori. Nel Trentino, peraltro, l’astensionismo ha rivelato alcune tendenze che potrebbe riuscire utile e interessante ricordare per le scadenze future.
Innanzitutto, un aspetto minore, ma non trascurabile: non giova ritardare l’appuntamento elettorale verso l’estate. Infatti, chi organizza eventi e manifestazioni non solo politiche, ma anche concerti o teatro, sa bene che nel Trentino (ma non solo) dopo aprile l’ affluenza crolla sensibilmente e le platee, anche in presenza di nomi di grande richiamo, si dimezzano. Molte famiglie, soprattutto con pensionati o figli giovani partono per il mare, sono già in vacanza, non tornano per il voto. Si preferiscono le località turistiche in giugno perché sono meno affollate , meno confuse e meno costose che in luglio o in agosto.
Parimenti non giova affollare insieme tanti appuntamenti elettorali diversi. Non sono una razionalizzazione, creano confusione. Presentano i voti come se vi fossero quelli di serie A e quelli di serie B, quelli trainati dai leader e quelli di secondo piano rappresentati dagli “scartini”. L’elettore deve percepire che il suo voto è importante e quindi “quell’appuntamento” elettorale va promosso adeguatamente, non mischiato agli altri. È avvenuto con i referendum, inflazionati fino al punto di allontanare gran parte dell’opinione pubblica, sta accadendo anche con gli altri appuntamenti…
Il voto poi vuole essere sentito, da chi lo esercita, come una scelta personale, non forzata dai media, indotta da dubbi “promoter” o costretta fra due estremi di leadership, o di qua o di là. “Non mi va bene né l’uno né l’altro leader, né l’una né l’altra leader, non sto a questo gioco fra Scilla e Cariddi, non vedo terze opzioni se non litigiose o sfocate e di conseguenza non vado al voto. Sto a casa”: è questa la reazione di molti.
Sulle preferenze non dovrebbero poi esservi equivoci e confusioni. Che significa “alternare” un uomo e una donna a scheda? Non è possibile scrivere due nomi di seguito? E se ho a disposizione tre preferenze ed inizio da un uomo finisco per votare due uomini e una donna sola? É emerso poi (ma in fondo è una conferma) che contano relativamente i meriti passati di una persona (la nostra è una società che ha perso la memoria della sua storia) pesa solo l’incontro diretto e la fiducia nel futuro che essa sa trasmettere, o il richiamo mediatico e spettacolare che sa suscitare. Ma questa non è una cosa seria, è uno show mediatico, e se l’appuntamento proposto e la scelta prospettata non sono seri, e quindi non importanti, perché andare a votare?
Anche il voto trentino ha mostrato che resta al palo chi si fida del suo passato o del “traino” dal leader della lista. In questa chiave il voto ha reso evidente, non a caso, un grande bisogno di “centro” che però non ha ancora un contenitore politico adeguato alle sue potenzialità. Le liste civiche, poi, numerose in Trentino, solo raramente esercitano un richiamo che vada oltre il Comune di appartenenza. Un aspetto interessante, anche per questo, ha mostrato invece il voto europeo: sta nel fatto che l’ opinione pubblica ha superato gli schieramenti tradizionali nella percezione della pacificazione regionale fra le due Province di Trento e Bolzano in seguito al Pacchetto e all’autonomia. Così va letto l’alto numero di preferenze ottenuto dal candidato Svp Dorfmann in Trentino: esse non vengono certo solo da elettori delle due stelle alpine, ma esprimono la consapevolezza che, nel difficile contesto europeo, certi problemi, come quelli dell’agricoltura di montagna e dei trasporti, vanno affrontati insieme. Non da una super-regione istituzionale (anche se la “frame”, la cornice comune fra Province del patto Degasperi-Gruber, ora allargata al Nord Tirolo, va assolutamente mantenuta, anche per non ridurre i partiti locali insignificanti e subordinate appendici dei leader di Roma, di Vienna o di Berlino) ma da collaborazioni e incontri comuni di economia, di cultura, di esperienze di lavoro, di comunicazioni. É questa una traccia su cui lavorare predisponendo candidati adeguatamente preparati e fatti conoscere per tempo.
Non uno schema istituzionale quindi, ma un’ Unione di sentire, di storia, di identità fra territori diversi, ma interconnessi. Ciò pone una sfida alle autonomie di Trento e Bolzano: che strada imboccare, in Europa, ma anche in Italia, dopo i recenti appuntamenti elettorali, importanti benché “minoritari”? Che ruolo dare alle autonomie, posto che non potrà essere puramente rivendicativo? Posto che ben altri problemi urgono alle porte, da quello di essere trascinati in una guerra nucleare da leader che sembrano aver smarrito la misura dei problemi da affrontare a un Paese dove le disparità sociali crescenti rischiano di alimentare più gravi divisioni e conflittualità? Sono domande che anche chi non è andato a votare rilancia alle classi dirigenti nuove. Ed anche a quelle “antiche”.
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