30 giugno 2024 – Domenica XIII Tempo Ordinario B
Sap 1,13-15; 2,23-24; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43
«Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme?» Mc 5,39
L’evangelista Marco propone Gesù continuamente intento a guarire malattie, a scacciare demoni, a sanare storpi, ciechi, lebbrosi. Sembra che questa, assieme alla predicazione, sia la sua principale attività, al punto che se togliamo dal vangelo di Marco i miracoli, rimane ben poco. Ci chiediamo allora: «Che cosa vuol dire ciò?».
Una prima risposta ci viene dalla prima lettura tratta dal libro della Sapienza: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura” (cfr Sap 1,13; 2,23).
Viene da chiedersi a questo punto: “Perché allora la malattia, perché la morte?”
Il libro della Sapienza continua: “per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono” (cfr Sap 2,24).
Questo sfondo, l’abbiamo visto domenica scorsa, è lo sfondo della nostra creaturale fragilità. Ed è a questa situazione che, per l’evangelista Marco, Gesù viene incontro con un messaggio di guarigione e di salvezza. L’evangelista infatti ci fa conoscere Gesù e ci racconta che lui vince il diavolo, vince la malattia, vince la morte. Infatti nel capitolo quinto del suo vangelo, Marco ci narra in successione la guarigione di un indemoniato, la guarigione della donna affetta da emorragia, la risurrezione della fanciulla dodicenne. Gesù vince il male, in qualunque forma esso si manifesti. Questo è il primo punto fermo da tenere ben presente.
In secondo luogo i termini ricorrenti nel brano evangelico sono “salvare” e “fede” che vengono strettamente congiunti tra loro. I “miracoli” di Gesù sono gesti concreti di amore per persone concrete, ma sono anche segno di una salvezza più profonda, una salvezza donata a chi crede in Lui, a chi si fida di Lui, a chi si affida a Lui.
Gesù ama la vita, come uomo fa esperienza di cosa vuol dire vivere, amare, soffrire, morire. Come Figlio di Dio è il Signore della vita, è in grado di vincere il male, la sofferenza e la morte. Ogni guarigione ed ogni risurrezione diventano segno ed annuncio della sua risurrezione. Inoltre con la forza dello Spirito Santo dona a noi gli “effetti” di questa sua vittoria e lo fa servendosi di quel segno e strumento di salvezza che è la Chiesa e di quei segni concreti che sono i sacramenti.
Il dono di salvezza ha una tale profondità che si configura come una forma duplice di condivisione, il Cristo sceglie perciò di condividere la nostra umana fragilità perché noi possiamo condividere la sua pienezza di vita divina: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr 2 Cor 8,9).
Come cristiani partecipiamo a questa vittoria di Gesù sul male e a questa pienezza di vita che lui ci dona e che è la sua, anche se soffriamo ancora, anche se noi e i nostri cari moriamo ancora. La nostra sofferenza, la nostra morte non sono più l’ultimo atto di una esistenza tragica, ma parte della storia di un seme che cade a terra e muore per risorgere in Dio, e vivere in Lui, per sempre.
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