Tre grandi sfide per la scuola di oggi

L’anno scolastico 2021-2022 si apre lunedì 13 settembre. Foto Gianni Zotta

La scuola, che è una delle esperienze più universali della comunità umana, è, e deve restare, un luogo protetto. Non solo perché bambini, bambine, ragazze e ragazzi hanno il diritto di crescere in un ambiente formativo che ne riconosca e rispetti i diritti e che valorizzi le loro specificità e le loro aspirazioni; ma anche perché l’apprendimento ha sempre bisogno di tempi e spazi isolati dal “rumore” della quotidianità nei quali far crescere la conoscenza, l’interiorità e le relazioni. Questo isolamento dal mondo esterno fa della scuola il luogo in cui si può sperimentare l’errore, esercitarsi nella ripetizione, scoprire il valore di tutto ciò che apparentemente “non serve”, sedimentare le basi di quei saperi che saranno decisivi nella nostra vita, comprendere se stessi, osservare in modo distaccato il passato, allenarsi al pluralismo e alla tolleranza – e alla valorizzazione – della diversità.

Ma la chiusura di un anno scolastico è sempre anche l’occasione per interrogarsi sul rapporto fra la scuola e il mondo, e per chiedersi se essa riesca ad offrire quegli strumenti che risultano essenziali per comprendere la realtà in cui viviamo e per affrontare le grandi sfide del mondo contemporaneo.

Si tratta di una questione delicata, cui ha tentato di rispondere in parte l’introduzione dell’Educazione Civica e alla Cittadinanza (ECC), pur con tutti i limiti di una materia la cui programmazione dipende dall’investimento che su di essa fanno i diversi consigli di classe. Tuttavia, anche a prescindere dall’ECC, credo che la scuola sia chiamata a dare strumenti per rispondere alle questioni che studentesse e studenti dovranno affrontare nel corso della loro vita. Fra le tante ne indico tre, che mi paiono oggi inaggirabili.
La prima è quella ambientale. Mi sembra chiarissimo che uscirne evitando la catastrofe impone un cambiamento profondo sul piano culturale. Qui la scuola potrebbe fare la differenza, introducendo a livello globale i semi di un’inversione di rotta che appare come l’unica chance per evitare una crisi climatica dagli effetti difficilmente prevedibili. La questione non è solo scientifica, ma chiama in campo il problema della cosiddetta “giustizia ambientale” e quello dell’autorità delle generazioni future su quelle presenti. Qui va detto che il problema è divenuto più urgente sul piano pedagogico dopo che è impallidito l’entusiasmo che aveva caratterizzato la prima fase della protesta giovanile per l’ambiente, sulla scia dell’impegno di Greta Thunberg.

La seconda è la questione del ritorno prepotente della guerra, che peraltro non è mai scomparsa. La ridefinizione del mondo richiede lo sforzo di declinare nella scuola percorsi che forniscano strumenti per comprendere le radici di tutti i conflitti attuali. È uno sforzo notevole, perché impone un lavoro di paziente discernimento da parte dei docenti per distinguere ciò che appartiene unicamente alla cronaca da ciò che invece può essere utilizzato come chiave di lettura delle faglie di conflitto attuali. Sul piano giovanile possiamo sicuramente dire che questa seconda questione è oggi più viva, rispetto alla crisi ambientale, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso e dopo la durissima risposta di Israele contro Gaza. Ma questa dovrebbe essere una ragione che ci spinge ad aiutare ragazze e ragazzi a non perdere di vista la globalità delle guerre nel mondo e soprattutto a non distogliere lo sguardo dalle conseguenze dei conflitti armati in termini di diversione della ricchezza, di spese in armamenti, di conseguenze psicologiche, sociali, relazionali, economiche e politiche sulle popolazioni che ne sono vittime.

La terza è la questione relativa a quella che Luciano Floridi definisce Infosfera. Secondo il docente di filosofia di Oxford le tecnologie digitali non possono più essere considerate semplicemente come strumenti a servizio delle persone, ma appartengono agli universi relazionali e sono esse stesse “luoghi” che fanno parte della nostra vita e delle nostre relazioni. Questa condizione umana, che Floridi definisce Onlife, è senza precedenti nella storia e pone alla scuola nuovi problemi pedagogici, imponendoci di riflettere sul modello di umanità che veicola e sui problemi etici che pone.
Di fronte a sfide di questa portata si resta un po’ senza fiato, ma non si tratta di ridurre la scuola a un “laboratorio di attualità”. Piuttosto si tratta di riconoscere che in realtà in ogni epoca la scuola ha dovuto affrontare il problema di come accogliere fra le sue mura le sfide del proprio tempo. Oggi queste sfide mi sembra ci impongano di interrogarci, come insegnanti, su quali strumenti vadano forniti per comprendere la complessità di un mondo in trasformazione, e su quale modello di convivenza sia sotteso alla nostra azione pedagogica. Sicuramente non è un compito facile. Ma anche da qui passa il servizio della scuola per un futuro più umano.

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