L’impegno civile di Livia Battisti nel nuovo libro di Paolo Piffer. Un capitolo in anteprima

C’è la ricostruzione di un piccolo, ma significativo tassello della storia trentina del Novecento nel racconto della testimonianza di impegno civile di Livia Battisti, figlia di Cesare Battisti ed Ernesta Bittanti, raccolta nel libro di Paolo PifferLivia Battisti : impegno, altruismo e solidarietà”, edito dalla Fondazione Museo storico del Trentino nella collana ‘900 testimonianze. Il libro sarà presentato martedì 18 giugno alle 18 nella sede della Sosat, in via Malpaga 17, a Trento per iniziativa della Fondazione Museo storico del Trentino e della Lega Pasi-Battisti volontari del sangue. Proprio l’esperienza della Lega Pasi-Battisti volontari del sangue, nata nel 1947 per garantire la disponibilità di sangue gratuitamente ai malati poveri, costituì il culmine di un’esistenza all’insegna della solidarietà e dell’impegno verso gli altri, esercitato anche attraverso le battaglie all’interno del consiglio comunale di Trento. Interverranno l’autore, Paolo Piffer, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, e Paolo Silvestri, presidente della Lega Pasi-Battisti volontari del sangue.

Ne proponiamo qui un capitolo in anteprima:

L’omaggio di Pertini

E’ un venerdì di fine estate iniziato da poche ore. Alle 5 di mattina dell’8 settembre 1978, a Trento, a Villa Bianca, dove è ricoverata da mesi per un brutto male che la tormentava da tempo, muore Livia Battisti. Aveva 71 anni. In poche ore la notizia fa il giro della città e arriva nelle redazioni dei giornali. Il telefono squilla anche nella caserma dei carabinieri di Vallunga, a Selva di val Gardena, in Alto Adige, che ospita Sandro Pertini per le vacanze estive. Il parlamentare trentino Marco Boato avvisa il Presidente della Repubblica della scomparsa. “Pertini sapeva che stava male e avrebbe voluto salutarla per l’ultima volta, ma non fece in tempo”, chiosa Boato. Il giorno dopo, sul giornale Alto Adige, il giornalista Franco De Battaglia scrive: “Molti la giudicavano un personaggio scomodo e, in fondo, un po’ noioso, destinato al poco lusinghiero ruolo di custode delle memorie paterne. Ma non era così. Pienamente donna, innamorata della sua terra, Livia Battisti voleva in realtà che i trentini capissero quanto di concreto e non di roboante retorica, quanto di umanità vera e non di ideologia, vi fosse nel messaggio paterno. Di qui quel suo puntuale insistere con lettere ai giornali con scritti con prese di posizione poteva sembrare puntiglio ed era invece l’invito a superare frasi fatte e comodi alibi a capire che Battisti non era solo il martire ma l’uomo che viveva con la gente. E’ in questa cornice che si inquadra tutta l’opera di Livia Battisti: quella di storica ma anche quella di insegnante alle Magistrali, quella di animatrice della Lega Battisti Pasi dei donatori del sangue ma anche quella di tormentata protagonista politica, prima come candidata “unitaria” per le sinistre al Senato nel 1958 e poi come consigliere comunale eletta come indipendente nella lista del Pci”. Nel necrologio, i familiari comunicano che “l’estremo saluto da parte di quanti ebbero per Lei affetto e stima avverrà il giorno 9 presso il cimitero alle ore 11 nella forma più semplice e riservata, al modo stesso in cui Essa profuse il proprio impegno ideale e condusse la propria vita”. Il giornale democristiano l’Adige, per quanto in prima pagina, si limita ad una scarna biografia. Nelle pagine interne, la notizia dell’arrivo a Trento del Presidente della Repubblica per rendere omaggio alla salma e i messaggi di cordoglio di politici, forze politiche e intellettuali. Il settimanale diocesano Vita Trentina, diretto da don Vittorio Cristelli, ricorda un episodio “che sintetizza bene la sua disponibilità verso le persone che soffrono come pure il suo piglio deciso che non attendeva né omaggiava le strutture pubbliche, anzi semmai le criticava aspramente e le pungolava a decisioni concrete”. “Era il 9 ottobre 1963, ore 22,45. Livia Battisti, stando in casa a Trento aveva appreso alla radio la notizia della tragedia del Vajont. – scrive l’anonimo articolista che, con tutta probabilità, è lo stesso direttore o comunque da lui ispirato – Detto fatto, senza interpellare nessuno prese un taxi e, prima tra tutti i Trentini raggiunse Longarone per organizzare i soccorsi di più immediata urgenza, specie per la Lega Battisti-Pasi dei donatori del sangue da lei fondata”. In questa biografia “per frammenti” ma pure per balzi temporali e suggestioni, perché tale sarà, non può che ritornare alla mente un’analogia, non l’unica pur nelle differenze, con la madre, Ernesta Bittanti. Nel 1908 accorse a Messina, distrutta e rasa al suolo da un terremoto, per portare aiuti. Suscitando, in questo caso, l’ilarità e lo sberleffo del giornale “Il Trentino” diretto dal futuro presidente del consiglio Alcide Degasperi. Al che Cesare Battisti, marito di Ernesta, direttore del quotidiano socialista “Il Popolo”, andò nella sede del foglio, organo dell’acerrimo avversario politico, intenzionato a prendere a sberle il direttore ma, non trovandolo, schiaffeggiò il primo redattore incontrato che non passò un bel momento. E i rapporti non migliorarono certo col tempo. Prova ne sia un episodio raccontatoci dal nipote Marco, che risale al periodo tra il 1946 e il 1948, quando Degasperi era già presidente del consiglio. “Sua madre era originaria di Predazzo, frazione di Bellamonte dove noi avevamo una casetta – racconta – E’ successo che arrivasse proprio davanti a casa, in macchina, con la scorta. Uno dei suoi uomini scese con un mazzo di gladioli in mano da portare a nonna Ernesta che stava nel patio. La quale non batté ciglio “ordinando” a sua figlia, per due-tre volte, accompagnando la richiesta con un gesto inequivocabile della mano, in modo che non ci fossero dubbi: “Livietta, dispensalo, dispensalo”. L’omaggio floreale ritornava al mittente e Degasperi se ne andava”. Al di la degli aneddoti, “una figura scomoda per le organizzazioni sociali come per i partiti, non solo per quelli che avversava, ma anche per quelli in cui militava, come dimostra il fatto delle sue dimissioni (nel 1968, nda) dal consiglio comunale nel quale era stata eletta come indipendente nel Pci – prosegue l’articolo di Vita Trentina a proposito di Livia Battisti – La sua passione era marcatamente morale, una morale laica, ma non per questo meno nobile, e conscia che deve farsi impegno politico senza mai dimenticare l’uomo. Per questo può essere risultata a volte dura e anche faziosa specie verso le istituzioni di qualsiasi ideologia e di qualsiasi ispirazione, quando vi ravvisava la strumentalizzazione dell’uomo. Un po’ come Socrate da molti temuto, criticato e avversato e poi, nella quiete della morte, da tutti apprezzato”. Tanto di cappello. Un ritratto magistrale, che non fa sconti. Anche la sezione di Trento dell’associazione ambientalista Italia Nostra, di cui era stata tra i soci fondatori il 9 aprile 1963, nel suo Bollettino che stava per andare in stampa riesce a tratteggiare un breve ricordo: “La Sezione ricorda con dolore, rispetto ed ammirazione Livia Battisti. Essa era stata Socia della Sezione fin dalla fondazione e ne aveva seguito e condiviso con costante interesse l’attività”.

Sabato 9 settembre, sono le ore 9.30, Pertini scende dall’Alfa blu in prossimità di casa Battisti, in corso 3 novembre. Invita la folla accorsa a non applaudire e sale le due rampe di scale che portano all’appartamento. Entra, commosso, nella stanza da letto della defunta dove la salma è circondata da mazzi di rose e garofani rossi. E’ qui, sottolinea, in forma strettamente privata, non da Presidente della Repubblica ma come socialista e combattente partigiano. Si intrattiene con i famigliari. Con il fratello Camillo e la nipote Mimma, figlia di Gigino ed Enrica Baldessari. Marco, l’altro nipote, è in Mozambico, partecipe, con la cooperazione internazionale, nel difficile processo di ricostruzione dell’ex colonia portoghese dopo dieci anni di guerra civile. In una lettera inviata da Maputo alla sorella scrive: “Avrei voluto essere a Trento a piangere anch’io, nella vecchia casa, carezzare le mani, respirare quell’aria di infanzia e di storia di ogni giorno, vedere e sentire la gente che va e viene e che sta dentro tutta questa storia. Sono i momenti in cui tutto smotta attorno, i sedimenti che ti sei costruito e su cui vivi si mettono a ballare e le prese, i tuoi riferimenti diventano una grande confusione, perdono di storia, sono privi di verifica, ci si sente improvvisamente stanchi e soli”. Il presidente Pertini, che ha partecipato ai due conflitti mondiali, in quei pochi ma intensi minuti in cui si intrattiene in casa Battisti, notato accanto al feretro il ritratto del fratello di Livia, Gigino, rivolgendosi ai congiunti ricorda l’amicizia che lo legava al primo sindaco della Trento liberata al termine della Seconda guerra mondiale, la comunanza politica, la stessa idea di socialismo. Ai presenti rammenta un episodio risalente alla Prima guerra mondiale, quando il futuro Presidente della Repubblica prestava servizio al comando della Prima armata come motociclista. In un acceso colloquio con il generale Guglielmo Pecori Giraldi, Cesare Battisti, deluso dalla poca attenzione ricevuta dai vertici militari italiani sulle sue previsioni, avveratesi, riguardo la Strafexpedition (la battaglia degli altipiani) austriaca della primavera 1916, chiedeva di essere inviato al fronte nonostante i rischi a cui sarebbe andato incontro, come successo, in caso di cattura.

In quei giorni di settembre, sulla stampa locale, in un lungo intervento, Bice Rizzi, direttrice del Museo del Risorgimento fin dalla sua costituzione nel 1923, poi, anche, della Lotta per la libertà (ora Fondazione Museo storico del Trentino), di cui la scomparsa era stata amica e sodale ricevendone il testimone dalla madre Ernesta, riflette sulla morte di Livia con partecipazione (nonostante la rottura avvenuta nei caldi anni Sessanta di cui riferiremo più avanti). E conclude: “La fermezza del tuo carattere ti è stata testimone anche nel lento morire: quando la speranza ti sorrideva ancora e quando andasti consapevole incontro alla fine. L’emozione che mi dette il pensiero, generoso e immeritato, che mi volesti indirizzare, steso con mano tremante alla vigilia ormai della tua morte su un biglietto di fortuna, mi impedisce di dire di te tanto di più…tanto di più…Addio Livietta cara”. Un linguaggio d’altri tempi, ma sentito e profondo. Di quelli che si potevano affidare ad una lettera, non, come oggi, alla povera messaggistica di un cellulare. “Senza discorsi, in grande silenzio l’ultimo incontro con Livia Battisti. I funerali si sono svolti in forma strettamente privata. In molti la sensazione che si sia chiusa un’altra pagina nella vecchia storia di Trento”, titola l’Alto Adige. Funerale laico, quello in via Madruzzo con “sepoltura” nel loculo di famiglia dove riposano anche la madre Ernesta, i fratelli Gigino e Camillo e diversi altri parenti. Cerimonia comunque molto partecipata dalle autorità, dagli amici, dalla gente comune. Mazzi di fiori portano la firma del Presidente Pertini e dell’amministrazione comunale. “Qualcuno forse si aspettava una cerimonia più ampia, qualche ricordo che valesse a sottolineare quello che Livia Battisti era stata e quel che aveva cercato – riferisce e commenta il quotidiano di piazza Lodron – Ma Livia Battisti aveva voluto diversamente e probabilmente non perché fosse schiva e avesse pudore. In realtà sapeva che quel che aveva da dire ai trentini e lo sforzo per rendere coerente la propria vita erano cose che richiedevano riflessione e impegno personale. Erano cose anche non esenti da contraddizioni come sono tutte le cose vive. E perciò erano cose vive che non sopportavano etichette, giudizi approssimativi e privi di sfumature come necessariamente sono quelli di circostanza. Erano cose da vivere, insomma. Così proprio il silenzio dell’incontro con lei al cimitero è stato il suo ultimo messaggio, la sua ultima lettera al giornale”.

Livia Battisti era nata a Trento nella casa di viale al Fersina, al civico numero 18 (in seguito corso 3 novembre), il 25 febbraio 1907 secondogenita di Cesare Battisti ed Ernesta Bittanti. Secondo l’atto di nascita, redatto a mano, erano le 11 ¾ post meridian, cioè le 23,45. Levatrice era stata la signora Dassat. Qualche mese dopo, l’11 luglio, venne battezzata in Duomo dal cappellano Giuseppe Nardoni. Perlomeno curioso, visti i genitori, socialisti e anticlericali. Non tanto se si va a leggere nome e cognome del padrino di battesimo, come ci suggerisce il nipote Marco: la madre di Cesare, Teresa Fogolari, cattolica praticante che, probabilmente, è stata determinante nello spingere la nipote verso il fonte battesimale. E’ perlomeno plausibile. Che Trento era quella dei primi anni di vita di Livia Battisti? Non c’è migliore fonte che la Guida della città scritta dal padre e pubblicata nel 1905 dalla Società concorso forestieri. Quasi, almeno simbolicamente, il punto di partenza della formazione della figlia ma anche di Gigino, nato nel 1901 e del terzogenito Camillo che vedrà la luce nel 1910. “Trento (città di abitanti 25.000) – viene riportato – è la capitale del Trentino, regione italiana, soggetta all’Austria ed annessa contro il suo volere, alla provincia del Tirolo”. E in precedenza: “A Trento (due ore da Verona; 1,20 da Bolzano) si fermano tutti i treni diretti e gli express Nord-Sud Brenner”. Per fare qualche esempio, su rotaia da Vienna per arrivare in città ci vogliono 19 ore, da Roma 17, da Parigi (via Zurigo) 38 che scendono a 10 da Firenze e a 6 da Milano per salire a 11 da Trieste (linea Mestre). E’ a Padova, dove la madre Ernesta insegnava all’Istituto Magistrale, che arriva la notizia dell’impiccagione del marito e padre. Livia aveva 9 anni. Una bambina. Un profilo dedicatogli dal periodico socialista Popolo Nuovo nel 1958, in occasione della sua candidatura per le sinistre unite al Senato, seppur romanzato, annota: “Per quanto ai due figli minori, Livia e Camillo, fosse stato risparmiato per qualche tempo il modo tragico della morte (di Cesare, nda), questa parola fu pesata, da quella bimba precocemente sensibile e forte ad un tempo, in tutta la sua gravità. Il Babbo non sarebbe più tornato ad accarezzare la testa dei suoi bimbi, non sarebbe più venuto per dedicarsi o per ripartire a combattere per una causa che non poteva non essere bella, buona e giusta com’Egli era buono, semplice e giusto. Prima dolorosa impressione di una bimba che sbocciava alla vita ma confortata dall’esaltazione che l’Italia ufficiale e non ufficiale tributava a quel Martirio, accanto a una Madre che di quella causa, di quegli ideali si fece continuatrice fedele”.

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