La guerra fra Israele e Hamas peggiora di giorno in giorno e non si vedono per ora vie d’uscita. Nulla sembra in condizione di bloccare la strage quotidiana di innocenti. Né la Corte penale internazionale, né le Nazioni Unite e neppure i sempre potenti ed influenti Stati Uniti sono in grado di portare le due parti in lotta ad un negoziato. Se la situazione vista dall’esterno appare così disperata, possiamo immaginare quanto complicata essa sia per chi la vive sul terreno. È stata perciò un’occasione unica quella di potere assistere ad una testimonianza di grande spessore: il punto di vista del custode dei luoghi santi a Gerusalemme, il trentino padre Francesco Patton. Invitato dal reggente della Campana dei Caduti di Rovereto, Marco Marsilli, e accompagnato dai marciatori di “Steps for Peace”, padre Patton ha potuto dialogare con noi in un luogo che così profondamente si richiama alla pace.
La comunità cristiana in Israele, soprattutto nella Cisgiordania, è in percentuale molto ridotta: solo il 2% della popolazione. Perfino a Gaza, prima dello scoppio delle ostilità, esisteva un piccolissimo gruppo di cristiani, all’incirca 990 anime, oggi ridotte ad un paio di centinaia dopo l’abbandono della maggior parte di essi da un territorio diventato invivibile nelle relazioni con il mondo musulmano. Ma anche in tempi “normali” per i nostri correligionari la convivenza con i gruppi maggioritari del paese è stata sempre molto problematica. È bene chiarire che il piccolo gruppo di cristiani è dal punto di vista etnico composto in grande maggioranza proprio da arabi e palestinesi. Con un’immagine molto azzeccata padre Patton ha descritto le difficoltà di convivenza sia con riferimento alla comunità musulmana che considera i confratelli arabi troppo “cristiani”, sia da parte israeliana dove la convinzione è di avere a che fare con arabi e basta. Insomma, una diffidenza reciproca che è di grande ostacolo per positive relazioni fra fedi diverse. Soprattutto in uno stato di guerra fra musulmani ed ebrei la situazione si fa ancora più difficile poiché le due parti chiedono ai cristiani di schierarsi per l’una o per l’altra. Scelta ovviamente complicata per una comunità religiosa il cui principale ruolo dovrebbe essere quello di portare avanti un discorso di moderazione e di reciproco rispetto fra arabi e israeliani.
Va anche detto che la comunità cristiana che ruota intorno ai luoghi santi è piuttosto variegata: si contano infatti, oltre ai cattolici, gli armeni, i protestanti, i coopti, gli ortodossi e così via, in una specie di riassunto storico delle vicende millenarie che hanno contraddistinto il mondo cristiano e le sue divisioni. Nella terra santa, quindi, uno dei compiti principali del nostro custode è quello di coordinarsi con i suoi colleghi nell’ambito dell’Assemblea delle chiese di Gerusalemme. Coordinamento più che mai necessario in tempi di guerra. È abbastanza evidente che per i cristiani e in particolare per i cattolici l’unica via d’uscita dal confronto militare fra Hamas e Israele sia politica. Papa Francesco è certamente di grande sostegno con i suoi ripetuti appelli che chiedono pace, pace e ancora pace. Ma è anche evidente che la guerra fra popoli non fa altro che approfondire l’odio fra le due parti, odio che è sempre stato sotto la superficie, esplodendo di tanto in tanto nelle brevi “intifada” della popolazione palestinese. Ma oggi la guerra si è incuneata ancora di più con estrema violenza fra israeliani e palestinesi ed eliminare il cumulo parossistico di risentimento sarà davvero lungo e difficile.
In questa situazione i cristiani non possono fare altro che portare nel discorso pubblico il riconoscimento della sofferenza reciproca e del perdono, che non deve mai essere accantonato se si vorrà prima o poi arrivare ad una pacificazione per quanto precaria.
La soluzione politica che è riemersa in questi ultimi tempi è ancora quella dei due popoli e due stati, soluzione che né Hamas né la parte estremista del governo israeliano vogliono accettare. Sarà quindi compito della Comunità internazionale e dei maggiori attori nell’area, paesi arabi moderati e Stati Uniti offrire le necessarie garanzie e gli incentivi politici perché ciò possa avverarsi. Ma anche qui gli ostacoli non sono di poco conto. Sullo sfondo, infatti, a pesare è l’insanabile conflitto religioso e di potere fra sciiti e sunniti, fra Iran e Arabia Saudita, ognuno con i propri alleati regionali e pronti a confrontarsi politicamente, economicamente e anche militarmente. Conflitti che si riverberano anche nei confronti di Israele e dei palestinesi, questi ultimi spesso utilizzati strumentalmente dagli iraniani. Un vero e proprio caos politico dal quale è estremamente difficile districarsi. Perfino gli americani, alle prese con le prossime elezioni presidenziali, non riescono a venire a capo al dilemma se schierarsi apertamente con Israele o di limitarne la furia bellicistica. In effetti, come sappiamo, la lobby ebraica è potentissima negli Usa e può in qualche modo influenzare il risultato delle prossime elezioni.
Insomma, un terribile, inestricabile rebus nei confronti del quale la piccola comunità cristiana deve dare esempio di moderazione, di solidarietà e di perdono, come predica padre Francesco Patton e sostiene con forza il nostro pontefice. Una posizione, l’unica possibile, che diffonda nel mondo una potente volontà di persuasione verso una pace che oggi ci appare ancora lontanissima.
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