Non rimaniamo spettatori di una guerra “inevitabile”. Non ci rassegniamo all’idea diffusa che la pace oggi sia “un’ingenuità”, per la quale si può soltanto pregare.
Lasciamo le arcate millenarie dell’Arena di Verona, carichi di questa rinnovata consapevolezza: dobbiamo seminare speranza, raccoglieremo pace! Ce lo assicura l’abbraccio sorprendente fra Moaz e Aziz (l’israeliano e il palestinese), a loro volta abbracciati da papa Francesco. Che ci invita al silenzio – in dodicimila, tutti in piedi – per cogliere dentro quel gesto “un progetto di futuro”. In cinque mosse.
Le ha scandite nel suo dialogo con i rappresentanti dei tavoli tematici: la pace – ha spiegato il Papa – “va organizzata”, “promossa”, “sperimentata”, “curata” e “preparata”. Per ogni passaggio una frase biblica, un aneddoto concreto a braccio, una ripresa dei profeti delle precedenti “Arene di pace”, a partire da don Tonino Bello fino a mons. Luigi Bettazzi.
Consigliamo a quanti non hanno potuto seguire il lungo intervento di Francesco di rileggerne il testo o rivederne il video (disponibile sul canale YouTube di Tv2000) e accenniamo qui a tre suoi atteggiamenti – tipici di un vero “maestro” artigiano della pace – che solo in presenza si colgono così evidenti.
In primo luogo, i numerosi momenti in cui il Santro Padre si è visto rivolgersi sotto voce agli organizzatori più vicini: il vescovo di Verona Domenico Pompili, da tempo promotore della “Laudato Si’”, padre Alex Zanotelli, il nostro missionario comboniano che gli ha consegnato la bandiera del 1989, ma anche gli altri “testimoni” delle realtà associative. Con questi confronti continui Francesco esprime bene uno stile di leadership che cerca e richiede la collaborazione: un leader non individualista, non solitario, che finisce per annullare gli altri e ignorare quanto c’è di buono in ognuno. “Altrimenti sarà autoritarismo e tante malattie che ne seguono”, ha aggiunto, sviluppando il tema della partecipazione che va risvegliata soprattutto nei giovani (anche all’Arena – diciamocelo – non ce n’erano molti ai vertici dell’evento), attraverso quella “parolina” – “insieme” – che è il suo modo di dire sinodalità.
Il secondo atteggiamento si è manifestato a metà mattinata, quando un anziano si è alzato dalle prime file ed è uscito con passo molto incerto dal corridoio centrale: il Papa lo ha notato, ha interrotto il discorso, lo ha seguito con gli occhi indicandolo come esempio di una fragilità da custodire. Ha testimoniato così con quest’attenzione al singolo uomo – pur dentro la folla, come fosse uno Zaccheo dai capelli bianchi – la dimensione personale, quotidiana, della fraternità.
Come a dirci che il seminatore di pace non può stancarsi di denunciare la folla corsa al riarmo, di agire in Parlamento per l’applicazione delle leggi che difendono i poveri, di incidere sulle cause strutturali dell’ingiustizia… ma nello stesso tempo non può ignorare il fratello vicino, la valorizzazione del più debole. “Al centro non siamo noi, le nostre idee – ha detto – al centro c’è quest’anziano. Camminare con i piccoli ci costringe a cambiare passo, a rivedere ciò che portiamo nel nostro zaino, per alleggerirci di tanti pesi e zavorre e fare spazio a cose nuove”.
La terza segnalazione viene dall’abbraccio particolarmente empatico riservato alla rappresentante delle “Mamme No Pfas”, che ha dato voce al sofferto impegno contro le sostanze tossiche e velenose che hanno causato in Veneto la malattia e la morte di tanti bambini e ragazzi.
“Abbiamo ascoltato le donne. E il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Sono mamme”, ha aggiunto il Papa, anticipando la campagna “Donne per la pace” illustrata dalle giornaliste di Avvenire perché sia valorizzato il contributo femminile nei negoziati internazionali. Colpito anche dalle voci coraggiose delle donne israeliane e palestinesi – senza dimenticare l’Ucraina e le altre guerre, come quella nel Congo – Francesco ha ripetuto quanto aveva detto ai Movimenti popolari nel 2015: “Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze, delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli – i popoli! – nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione questo processo di cambiamento”. Un progetto di futuro!
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