lo spunto
“Un progetto avveniristico, che positivamente condivido e che, se realizzato in tempi contenuti, potrebbe in parte dare risposte al bisogno di edilizia abitativa che si avverte in città”. Dal suo osservatorio immobiliare Severino Rigotti si dice entusiasta della “suggestione urbanistica” presentata l’altro giorno in consiglio comunale (a Trento) da Sequenza Spa(Gruppo Podini) per l’area a sud dell’ex Sloi, giudicandolo un valido strumento di qualificazione per l’area e il comparto urbanistico”.
(L’Adige, 10 maggio 2024)
Il tema dei tre “grattacieli” che si intendono costruire a Trento Nord accanto all’ex Sloi, in deroga alle previsioni urbanistiche e ad una visione armoniosa della città e della sua vivibilità comunitaria, non mancherà di sollevare contrasti e opposizioni, nonostante le entusiastiche affermazioni di Rigotti, presidente degli immobiliaristi trentini, e la disponibilità dell’imprenditore e finanziere bolzanino Podini, cui già fanno riferimento anche importanti supermercati.
Il progetto presentato da Sequenza Spa, infatti, più che “avveniristico” appare volutamente pretestuoso e “fuori scala” . Prevede, infatti, la costruzione di tre “grattacieli”, di tre torri, la maggiore delle quali alta 78 metri (24 piani) ispirata – si è scritto – al Campanil Basso, il monolite simbolo del Gruppo di Brenta. Crediamo che questo paragone basti a definire l’opera, posto che mira a sollecitare l’inguaribile provincialismo di molti, forse troppi trentini, per i quali, non potendo fare della loro bella città una piccola New York (ma chi la vorrebbe una metropoli così invivibile com’è diventata? i suoi canyon sono da guardare per subito fuggirli, mentre le scale della metropolitana e i parcheggi sotterranei sono diventati, non a caso, bivacchi di emarginati) ricorrono alle ben collaudate Dolomiti, buone per ogni stagione ed ogni occasione. Evocare “il Basso” poi, che le altre cime non le supera, non c’entra proprio nulla, visto che si rapporta con la natura. Non con una dimensione urbana, con corde e chiodi per risalirlo, non con le esigenze delle famiglie chiamate ad abitarlo e degli ascensori per servirlo. Senza voler prendere in considerazione l’impatto paesaggistico in piena vallata atesina per chi proviene da nord, con la rottura del paesaggio agricolo e montano circostante. Trento non ha bisogno di una skyline come quella newyorkese che spezza la linea dell’orizzonte dopo la distesa immensa dell’oceano, a parte che anche a NY salire sulle passate Torri Gemelle o sull’Empire State Building creava un senso di smarrimento. Delle tre torri, la più alta misura appunto 78 metri (per 24 piani), le altre due sono conseguenti, di 66 metri ( 20 piani) quella intermedia e 52 metri (16 piani) quella minore. Un totale, stimato, di circa 200 appartamenti, più (“naturalmente” viene da aggiungere), un supermercato e un albergo (di lusso, si dice), anche se non si precisa chi, avendo soldi a disposizione, andrebbe a imbucarsi in un alveare periferico accanto all’ex Sloi. Le torri di Man, per fare un sommario paragone, si presentano con 13 piani.
Anche per queste ultime tre torri il discorso è il solito. Si costruiscono in altezza per consumare meno suolo. Ci saranno spazi verdi. I parcheggi saranno sotterranei, anche se non si potrà scendere oltre i due metri per via della falda su cui insiste l’ex Sloi. Eppure proprio le torri di Madonna Bianca dovrebbero porsi come riferimento critico da tenere in considerazione. Infatti, con tutte le polemiche che suscitarono alla loro costruzione, dopo 50 anni costituiscono ancora un problema aperto per la città, dal momento che non sono mai riuscite a creare un quartiere di comunità e convivenza, benché non sia mancato il verde, con i vialetti pedonali e nonostante la costruzione di due centri sportivi, piscina, asilo e scuola. Il fatto è che ovunque (può risultare utile al proposito la lettura dell’ultimo libro del filosofo e sociologo francese Edgar Morin “Ancora un momento”) i grandi complessi edilizi verticali isolano chi vi risiede, non creano mescolanze (rapporti) di lavoro e incontri sociali, come ben sanno gli abitanti dei grandi complessi della periferia napoletana, e non solo. Gli stessi spazi verdi, sia pure gradevoli, rischiano di trasformarsi in pericolosi luoghi di degrado che non si frequentano (vedi Milano, il che non vuol dire che non bisogna farli, ma che richiedono controlli moltiplicati e complicati). Così è per i parcheggi interrati non molto amati da chi vi abita sopra o da chi sale al negozio del piano terra, dal momento che non si sa quali incontri si possono fare.
Altri problemi si possono sollevare: la vivibilità sociale e l’identità paesaggistica della “Tridentum”, una città appoggiata alla montagna del Doss Trento con il fiume a lambirla e a difenderla, una città adagiata fra le sue montagne che le fanno corona (Paganella, Bondone, Vigolana, Marzola, Calisio), non svettante a voler copiare il Campanil Basso (figurarsi!). E poi i problemi della città capoluogo il primo dei quali è proprio Trento Nord che richiede la sistemazione degli insediamenti, dell’impianto urbanistico e umano, dei servizi e dei collegamenti, prima di fungere da contenitore per un altro migliaio di persone. Il secondo è l’altissimo numero di appartamenti esistenti vuoti per i quali è davvero urgente trovare una soluzione, così come appaiono pesantissime le chiusure dei negozi che hanno depauperato la città nello stesso centro storico. Sembrano questi i primi e più urgenti problemi (ma altri ve ne sono, a tutti noti, come l’inceneritore o gli alloggi universitari, che non possono certo andare alle torri Sloi), ma anche gli ascensori che vanno su e giù per 20 piani e che comporteranno un non trascurabile consumo di energia. Chi la paga?
Problemi che vanno affrontati prima di avviare questa avventura verticale…
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