Sembrava che ci inabissassimo in una fase che riduceva il dibattito politico ad uno scontro di bandierine (perché così si cerca di fare anche con le riforme istituzionali), cosa che piace ai partiti odierni che sono attrezzati più a fare talk show che a fare politica. Due eventi che hanno interessato la scena pubblica nei giorni passati ci riportano invece al nocciolo duro della nostra crisi politica: il problema del finanziamento delle forze politiche e la questione degli interventi economici che devono tagliare privilegi per far quadrare il bilancio.
Quel che sta succedendo intorno alle vicende che coinvolgono il presidente della regione Liguria è tale da rilanciare le questioni che a suo tempo ci hanno regalato il fenomeno di Tangentopoli. Il tema è sempre quello: i partiti, che non hanno neppure più il finanziamento pubblico, in che limiti e con che regole possono farsi finanziare da mecenati privati? C’è qualche limite quanto a somme ammesse, ma si può aggirare. Soprattutto rimane l’eterno tema per cui siccome nessuno dà niente per niente, ci si chiede cosa ottengano in cambio i generosi sostenitori delle varie campagne elettorali.
Non ci vuol molto a sospettare che coloro che detengono posizioni che consentono di decidere in merito a questioni che portano a dei guadagni siano oggetto di interessamento da parte di coloro che possono trarne profitto. Se poi ormai l’etica comportamentale è così disinvolta per cui i contatti che i maggiori portatori di interesse intrattengono coi vertici politici non avvengono nelle sedi istituzionali, ma in sedi piuttosto improprie per questo genere di incontri, si capisce che il discredito della classe politica presso la pubblica opinione sia in ripresa.
Come già accaduto ai tempi di Tangentopoli chi è stato preso con le dita nella marmellata si difende ricordando che più o meno così fan tutti: il che non è esattamente vero, ma certo si tratta di una disinvoltura nei modi di agire ampiamente diffusa. Una volta di più la classe politica sembra incapace di far fronte comune per rimettere ordine in comportamenti e deviazioni che alla fine si rifletteranno negativamente su tutti. Coloro che non sono toccati dal caso in esame, credono di potersi avvantaggiare sbandierando le nefandezze degli avversari e la propria presunta superiorità. Coloro sui quali ricade il disdoro di quanto avviene pensano di potersi chiudere a riccio scommettendo sull’esaurirsi dell’interesse per gli scandali.
Sarebbe molto più sensato che tutti convenissero su due punti che gioverebbero alla classe politica nel suo complesso: 1) lasciare che se ci sono effettivamente soggetti che hanno agito in maniera non accettabile questi ne paghino le conseguenze (giuridiche se ci sono reati, politiche se sono solo comportamenti inaccettabili sul piano etico-politico); 2) mettersi d’accordo per convenire regole di comportamento e regole di gestione dei fondi che si possono raccogliere per promuovere la propria azione politica sicché ci sia un quadro generale che consente di lasciar fuori dalla competizione il pericoloso rapporto non tanto con il mondo economico (questo rientra nei doveri politici) quanto il mondo dell’affarismo.
Al momento, di qualcosa di simile non c’è traccia. Piuttosto assistiamo ad un episodio che rientra nella tendenza della politica a conquistarsi il favore dei privilegiati. Stiamo parlando della battaglia che FI sta ingaggiando contro il ministro Giorgetti per il tentativo meritorio che questi propone per evitare che il pastrocchio del superbonus edilizio scassi definitivamente il bilancio pubblico.
È evidente che Tajani punta ad ingraziarsi quelle componenti che ci rimettono se il recupero del credito fiscale verrà spalmato su dieci anziché su quattro anni. Sebbene si possa capire che esse non vedano di buon occhio essere sottoposte ad un trattamento drastico quando chi ha agito nel passato è stato trattato in modo più che generoso, si deve anche dire che è compito della politica richiamare tutti al realismo per cui un disastro sul bilancio pubblico non è sopportabile in questa fase.
Stupisce però che il ministro Giorgetti sia stato difeso debolmente dagli altri partiti di maggioranza, ma soprattutto lasciato solo dalle opposizioni, che così hanno perso una ottima occasione per mostrare come per loro la difesa della solidità del bilancio pubblico sia più importante dello sdraiarsi sulle posizioni preconcette di chi deve essere contro il governo a priori.
Nel loro intrecciarsi le due vicende richiamate non contribuiscono certo a frenare il distacco di buona parte dell’opinione pubblica dalla fiducia nei partiti e anche nella politica più in generale. Esattamente il contrario di quanto oggi sarebbe necessario.
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