Don Vittorio Cristelli, il giornale come legame per stringere le comunità

Un giovane don Vittorio Cristelli sull’altopiano di Piné

lo spunto

È stato un fondatore, un pioniere di tante avventure don Cristelli. È stato un giornalista dalla schiena dritta. È stato un amico dei poveri e degli ultimi. Nel 2010 l’Amministrazione comunale gli ha consegnato l’Aquila di San Venceslao, l’onorificenza riservata alle persone che hanno lasciato un segno indelebile. Oggi gli diciamo: grazie don Cristelli per aver inquietato e risvegliato molte coscienze, Trento non ti dimenticherà.

Franco Ianeselli, sindaco di Trento (da Facebook)

Sono stati i suoi “pinaitri” e “commontanari”(come li chiamava don Guetti) a dare l’ultimo saluto venerdì scorso aprile a don Vittorio Cristelli nel suo viaggio terreno, nella chiesa del suo paese. A Miola egli si sentiva il figlio dell’emigrato che aveva dovuto cercare lavoro come minatore in Belgio e ritornava sempre volentieri, sentendosi egli stesso un emigrato nel gran mondo delle città, delle idee, dell’informazione. Ma le radici restavano a Piné e affondavano nel lavoro autentico dei contadini (cercava di esserci sempre per la fienagione), nei rapporti schietti con gli amici e i compaesani riuniti nella stagione della caccia, vista non come predazione, ma come un rito nella natura, un ruolo di equilibrio nel prelevare i frutti del bosco, come voleva e scriveva Mario Rigoni Stern. E quelle radici erano nella stessa devozione mariana (Piné è l’altopiano della “Comparsa”) che tanto colpiva lo stesso arcivescovo Gottardi quando sosteneva quel prete che molti giudicavano “scomodo” per la sua visione conciliare e l’appoggio dato alla Messa di don Dante Clauser nella chiesa di San Pietro, dove anche i laici venivano coinvolti, dove venivano affrontati anche temi civili e politici.

Si sentiva un emigrato che ritorna al paese, don Cristelli, quando risaliva a Piné e vedeva, come ha scritto in un bel ricordo Pier Dal Rì, fumare i camini delle case, segno che l’acqua nel paiolo della polenta iniziava già a bollire, promessa di accoglienza, condivisione e solidarietà, segno di valori veri fra i muri delle case, ed anche di sacralità. Avrebbe voluto così don Cristelli per il suo commiato terreno, prima di affrontare la sua ultima migrazione nei cieli (“In Paradisum deducant te Angeli”) .

Noi non abbiamo potuto esserci all’ultimo saluto, ma l’abbiamo ricordato nella sua città, Trento, dove ha combattuto le sue battaglie, dove ha fatto delle sue parole sul suo giornale, “Vita Trentina”, uno strumento di convivenza, un legame capace di stringere insieme una comunità, così come si lega il carro che sale dal prato all’altana, alla “tiezza”, dopo averlo riempito di ben disposto fieno.

C’è una sacralità nel lavoro del contadino, ma c’è, o può esserci sacralità anche nel comunicare con le parole. E don Cristelli lo sapeva. Tutta la sua vita, a ben guardare, è stata un dono in questo senso. Egli, infatti, aveva la capacità di rendere sacro ogni piccolo momento della quotidianità, un incontro, un ascolto, una pagina scritta, un sorriso. Per questo in tanti sentono il vuoto che ha lasciato, lo ricordano nel suo paese, ma anche nella città dove ha lavorato.

Per questo, soprattutto, era un maestro, che metteva anche soggezione, quando lo incontravi ed egli ti guardava in silenzio, e nel suo volto intuivi il rigore della sua preparazione e della sua missione di uomo e di prete. Ma la soggezione si scioglieva quando il volto si allargava nel suo sorriso, quando il silenzio pronto all’ascolto si interrompeva con una parola: “Continua così”, che non era un incoraggiamento, ma la promessa di fare un tratto di strada insieme.

Lo incontravamo a volte, negli ultimi anni, quando aveva già lasciato la Casa del Clero di Via Cervara – luogo di incontro di sacerdoti, docenti universitari, studenti e dove ognuno aveva la sua stanza-studio ma poi tutti si ritrovavano insieme a pranzo, a parlare insieme, a confrontarsi, fuori dalle rispettive solitudini – e aveva trovato ospitalità e assistenza nella struttura per i sacerdoti anziani presso il Seminario. Lo incontravamo al caffè di Corso 3 Novembre e sembrava uno studente che avesse approfittato dell’intervallo, fra una campanella e l’altra, per uscire un attimo da aule e corridoi e ritrovare un respiro di libertà. Prendeva un cappuccino e un cornetto, a volte accettava un caffè, poi s’ informava su come andavano le cose dentro i nostri giornali. “Vai avanti”, diceva, ma erano incontri molto brevi e resta il rimpianto che non si siano prolungati.

Era ciò che avrebbero voluto, per l’ultima volta, magari in Duomo tanti suoi amici e lettori. Ma per uomini e maestri come don Cristelli non c’è mai un un’ultima volta, e certo il suo messaggio verrà rilanciato da suoi allievi.

Ha fatto di “Vita Trentina” una scuola di giornalismo e di impegno civico ad altissimo livello, da cui sono usciti professionisti e cittadini che poi hanno arricchito altri giornali e altri mezzi di comunicazione sociale, ma moltissimi sono stati i semi deposti sul terreno arato dai suoi scritti e irrorato dalla sacralità che comunicava la sua visione del mondo, della vita e della fede.

Non mancherà certo un momento, magari in Duomo come molti desidererebbero, per ricordarlo e riproporre i sentieri da lui tracciati, non solo per le comunità dei paesi che hanno bisogno di essere riconfermate nella loro vocazione identitaria, ma anche nei suoi collegamenti culturali (la guida della Scuola di Preparazione Sociale e la docenza alla Scuola Superiore di Servizio Sociale) e le sue iniziative nazionali e internazionali (il movimento “Beati i costruttori di pace” con padre Alex Zanotelli) in un mondo che ha sempre più bisogno di pace, minacciato com’è da guerre crudeli e insensate che si vanno sempre più estendendo.

“Pace” è il messaggio che don Cristelli lascia con i suoi scritti e la sua vita.

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