Grandi problemi globali e piccole diatribe nostrane

La prima pagina del quotidiano “Avvenire” di mercoledì 17 aprile

L’orizzonte internazionale è piuttosto cupo. Da un lato non si riesce a capire come finirà la guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina. L’Italia si è giustamente schierata a sostegno dell’aggredito, ma al momento attuale iniziano a circolare dubbi sulla sua tenuta. È vero che la Russia aveva mostrato molte debolezze fino a non molto tempo fa, ma si tratta pur sempre di un paese che ha risorse molto grandi, soprattutto in termini di vite da sacrificare e di armi da comprare sul mercato, mentre l’Ucraina sembra a corto di risorse su entrambi i fronti. Se Putin riuscisse a vincere la sua scommessa imperiale per l’Europa e di conseguenza per l’Italia ci sarebbe un bel problema da affrontare.
Altrettanto complicata ed incerta la situazione sul fronte mediorientale, con Israele che non riesce a chiudere la partita contro Hamas e con l’Iran che ha finito per entrare direttamente in campo.
Anche in questo teatro l’Italia si trova in una posizione non facile: non si può che sostenere la sopravvivenza di Israele, che è una democrazia di marca occidentale, contro i tentativi del fanatismo mediorientale di raderla al suolo, ma se questo significa seguire le pazzie di Netanyhau è un bel problema.
In Europa gli equilibri scricchiolano: Francia e Germania non hanno una visione politica condivisa (leggere i discorsi di Macron e quelli di Scholz a Pechino), molti paesi si muovono un poco a casaccio, l’Est europeo rimane un’incognita diviso fra filo atlantici come la Polonia e filo russi come l’Ungheria e non solo. E non è il solo problema: per finanziare alcune visioni di sviluppo, ma anche alcuni progetti tipo l’impianto di un sistema di difesa europeo occorrono soldi che vanno cercati facendo debito comune: una prospettiva che non è che susciti entusiasmi fra i ventisette.
In queste difficili contingenze in Italia la politica si balocca col gioco dello sgambetto reciproco fra le varie forze in campo. Plateale il gioco pirotecnico di Salvini per dar fastidio a Meloni da un lato e per evitare dall’altro che FI di Tajani lo superi nella raccolta di voti il prossimo 9 giugno.
Non meno evidente quello di Giuseppe Conte che pensa di poter terremotare il PD sfruttando l’emersione di un po’ di corruttela nelle fila di quest’ultimo in Puglia, sfruttando anche le lotte intestine di marca tardo feudale che lì sono in corso e di cui il governatore Emiliano pensa di essere maestro.
Tutto ciò dà spazio al fiorire di piccole formazioni, di liste più o meno civiche, che magari si federano per tentare un assalto al momento senza speranze alle urne europee. Il massimo esempio è quell’aggregazione messa in piedi dal siciliano Cateno De Luca col suo movimento “Sud chiama Nord” che nel simbolo per le sue liste in gara il 9 giugno ha raggruppato venti simboli: una farsa, difficile definirla in altro modo.
Non si può dire che questo affannarsi negli scontri politici stia agitando l’opinione pubblica. A parte le compagnie di giro che animano i vari talk show, la gente non sembra appassionarsi a queste battaglie. È così vero, che i lettori avranno notato quanto i partiti stiano tardando a formare le liste dei candidati al parlamento europeo: incredibile se si pensa che i designati in teoria dovrebbero raccogliere consensi in collegi molto ampi, e che dunque in poco più di un mese è impresa ardua che possano farlo. Ma la spiegazione è semplice: nessun partito candida davvero personalità che deve accreditare con le sue forze, perché punta semplicemente ad arruolare o personaggi già noti al grande pubblico, o politici di professione che si pensa possano far leva su proprie reti già operanti.
Per carità, esistono anche eccezioni, perché qualche buon candidato qua e là si intravvede, ma finisce per essere una specie di mosca bianca, per quanto noi speriamo sempre che un qualche miracolo lo aiuti a vincere.
L’attenzione dei partiti è forse concentrata sulle elezioni amministrative che si svolgeranno più o meno in contemporanea alle europee? Se si deve dare riscontro alle lotte intestine nei partiti, si può anche pensarlo, ma se guardiamo alla sostanza delle cose vediamo che anche in quel caso ci si accontenta più o meno di quel che possono passare le nomenclature del professionismo politico locale. Non proprio il meglio per governare tempi che non saranno facili: e di buoni, o almeno decorosi amministratori locali ci sarà molto più bisogno di quel che immaginino i gruppi dirigenti attuali.

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