Lo scorso 4 marzo le due Camere del Parlamento francese, riunite nell’ala del “Midi” della reggia di Versailles dove si elegge il Presidente della Repubblica, hanno modificato l’art. 34 della Costituzione transalpina introducendo il diritto della donna di interrompere volontariamente la gravidanza. La modifica costituzionale, annunciata da Emmanuel Macron nel marzo 2023 ed approvata, a larghissima maggioranza (852 i voti favorevoli, 72 quelli contrari), dopo un complesso iter legislativo e senza bisogno di ricorrere al referendum popolare (il cui esito era scontato viste le 100 mila firme raccolte a favore della modifica costituzionale), ha introdotto, dopo il 17° capoverso dell’art. 34 della Costituzione, il seguente capoverso: “La legge determina le condizioni alle quali si esercita la libertà garantita alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza”.
La notizia, appena arrivata in Italia, ha provocato vivaci reazioni, non sempre composte e poco utili a favorire la discussione pubblica: accanto a chi ne ha dato ampia diffusione enfatizzando l’avvenuta costituzionalizzazione della libertà (autodeterminazione) riproduttiva della donna ed auspicando che l’esempio francese venga seguito anche dal nostro Paese, altri hanno sottolineato quali sono le derive prodotte dall’arretramento del diritto alla vita del nascituro. Queste due opposte ed antitetiche reazioni, tuttavia, sono state espresse sulla base di pregiudiziali ideologiche le quali, invece che stimolare la dialettica, l’hanno sostanzialmente strumentalizzata.
Spiego subito le mie ragioni e muovo da questo presupposto riconoscendo che l’etica non è mai un territorio neutrale in quanto impegnata nella costruzione di teorie normative capaci di dare una soluzione ai problemi della vita senza violare il pluralismo del nostro sentire etico, delle nostre diverse sensibilità e delle nostre tradizioni.
Nonostante l’esistenza di teorie spesso contrapposte che massimizzano l’utilitarismo dell’atto o quello delle regole, l’etica non ha però mai principi assoluti che gerarchizzano la scala dei valori in gioco.
L’autonomia personale, intesa come la facoltà di decidere sulla base delle proprie insindacabili preferenze senza ingerenze esterne non è così una condizione che può comprimere tutti gli altri beni in gioco come raccomanda la prospettiva kantiana all’interno della quale il suo esercizio prevede vincoli interni stringenti, riconducibili al rispetto dell’umanità (propria e altrui) come fine in sé.
I valori, se isolati o decontestualizzati, possono sempre diventare tirannici come insegna la storia secolare e come ricorda a tutti Carl Smith (“la tirannia dei valori”) con la sua condivisibilissima teoria che vale non soltanto sul terreno giuridico-politico. La scelta riproduttiva della donna non può così essere un principio assoluto dovendosi confrontare, anche sul piano etico, con gli altri beni fondamentali che questa libertà mette in discussione, tra tutti il diritto alla vita del nascituro. Ha ragione il filosofo australiano Peter Singer (le cui teorie antispeciste per altri aspetti sono molto criticabili) quando afferma che presentare il problema dell’interruzione volontaria della gravidanza come una libertà di scelta individuale “significa già di per sé presupporre che il feto in realtà non conta nulla“ e che, se ci si muove in questa direzione, “sarebbe come ridurre la schiavitù a una questione di libertà di scelta da parte degli schiavisti”. Presupporre questo, in nome di una presunta illimitata ed incondizionata libertà individuale, non è eticamente lecito a meno che non si ricorra alla discutibilissima teoria di chi ammette che non tutti gli esseri umani sono persone in senso pieno se incapaci di autocoscienza. Tesi, questa, che occorre correggere perché è la nostra stessa umanità che si nutre della fragilità, della vulnerabilità e di chi non ha ancora maturato o ha perso la sua capacità autocosciente. Come ricorda a tutti il magistero della Chiesa cattolica e papa Francesco che – solo per citare l’intervento più recente – si esprime così nel libro autobiografico anticipato pochi giorni fa alla stampa: “Dobbiamo difendere sempre la vita umana, dal concepimento fino alla morte, non mi stancherò mai di dire che l’aborto è un omicidio” .
La conclusione su cui dovremmo tutti convergere è, così, che l’etica non ha bisogno di valori tirannici posizionati su di una (opinabilissima) scala gerarchica, ma di principi il più possibile condivisi che occorre sempre (responsabilmente) comporre e (prudentemente) bilanciare.
Come, alla fine dei fatti, sembra aver fatto la modifica costituzionale francese perché non è vero che- come qualcuno ha osservato con enfasi – si è costituzionalizzato, senza nessuna regola, il diritto della donna di abortire. Si è, infatti, riconosciuta la sua libertà di poterlo fare ma nel rispetto delle condizioni (cioè dei limiti, dei vincoli e delle garanzie) previste dalla legge: legge che, in ogni caso, non può non tener conto di tutti gli altri diritti e libertà costituzionalmente garantite, fra i quali spicca il diritto del nascituro a vivere.
(Fabio Cembrani è medico legale, docente a contratto Università di Verona)
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