Sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale “Nature Ecology and Evolution” i risultati di uno studio condotto su scala globale che ha analizzato l’impatto dei cambiamenti delle attività umane indotte dalla pandemia da Covid-19 (tra il 2019 e il 2021) sulle abitudini dei mammiferi selvatici. Gli effetti osservati variano a seconda del contesto ambientale, alle dimensioni e alla dieta delle specie studiate, ma in generale si è osservato che al ritorno dell’attività umana dopo i lockdown negli ambienti naturali più integri i mammiferi hanno ridotto la loro attività evitando le persone, mentre negli ambienti più antropizzati sono risultati più attivi, ma anche più notturni. I grandi carnivori, inoltre, sono risultati i più sensibili ai cambiamenti dell’attività umana, assieme ai grandi onnivori. I risultati concorrono con altri studi a documentare una generale tendenza all’incremento della notturnalità dei mammiferi costretti a far fronte a una forte presenza umana, e i dati raccolti indicano che questo effetto è maggiormente marcato per le specie soggette alla caccia.
Lo studio ha coinvolto più di 220 ricercatrici e ricercatori in 21 paesi, incluse 5 istituzioni italiane (MUSE – Museo delle Scienze, FEM – Fondazione Edmund Mach, Università di Firenze, Università di Siena e ISPRA), e ha indagato l’attività di 163 specie di mammiferi con l’utilizzo di oltre 5 mila foto-trappole, per lo più dislocate nell’emisfero settentrionale del globo.
Le strategie di protezione della fauna – viene proposto nello studio – devono essere definite sulla base dell’analisi delle specie presenti e dei luoghi interessati: nelle aree in cui le persone e gli animali si sovrappongono maggiormente, come le zone periurbane, la notte è un importante rifugio per i mammiferi selvatici. Gli sforzi potrebbero pertanto concentrarsi sulla riduzione dei conflitti con la fauna selvatica dopo il tramonto, prevedendo ad esempio una migliore gestione dei bidoni della spazzatura, o l’uso di misure di mitigazione sulle strade per ridurre le collisioni con i veicoli.
LO STUDIO IN TRENTINO
In Trentino occidentale la ricerca si è concentrata nell’area di studio che dal 2015 viene monitorata ogni estate, un’area che va dai confini ovest del Comune di Trento fino alla val Rendena, includendo Paganella, Gazza e parte meridionale del massiccio delle Dolomiti di Brenta. 60 i siti di fototrappolaggio analizzati dalle ricercatrici e ricercatori del MUSE in collaborazione con l’Università di Firenze.
In Trentino orientale la ricerca si è concentrata sui dati dell’area di studio in Val di Cembra, nella zona dell’Argentario, che viene monitorata dalla Fondazione Edmund Mach sin dal 2017. I siti sono caratterizzati da una notevole presenza antropica, legata alle attività forestali e soprattutto estrattive, oltre che alle aree abitate.
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