lo spunto
Questa volta vorrei suggerire a “Sentieri” di dare una mano a diffondere la brutta notizia relativa alla ciclovia del Garda.
Non bastano incontri interregionali, né aggiornamenti settimanali come viene fatto da Italia Nostra, per scuotere l’attenzione dei lettori e e dei politici.
Mi chiedo perché nessuno risponda, in primis il presidente Fugatti. Non c’è l’obbligo istituzionale di dare risposte chiare e pertinenti? Cosa si può fare?
Nell’ultima comunicazione ai soci per l’incontro di Riva e di Trento, sono elencate le motivazioni del perché tale progetto non è accettabile. Eppure tutto tace.
Luisa Romeri
La ciclovia del Garda, soprattutto nel tratto scosceso della parte trentina, presenta criticità che meritano più di una risposta politica e culturale. Ne suggeriscono piuttosto un ripensamento della progettazione complessiva. Emerge con chiarezza anche dall’ultima riunione pubblica promossa dalla sezione trentina di “Italia nostra” a Riva del Garda sabato 24 febbraio e da una precedente lettera dell’associazione al presidente Fugatti.
La natura dei luoghi e la fragilità della montagna hanno dato nel frattempo una loro risposta, quasi a confermare i timori su questa ciclabile, con un’altra imponente frana, caduta sulla Gardesana il 9 marzo. Per parte nostra non sappiamo se Fugatti sia “obbligato “ a rispondere alle lettere e agli interrogativi che gli provengono da rappresentanze non istituzionali, ma riteniamo che dovrebbe costituire una prassi dell’autonomia interloquire con i corpi sociali e le associazioni culturali, portatrici di interessi e sensibilità comuni. Non solo per essere a conoscenza di aspettative, tensioni e disagi che serpeggiano fra i cittadini, ma per impedire che cresca ancora quel divario fra opinione pubblica e politica che purtroppo si sta palesando nel crescente astensionismo.
Non è necessario essere d’accordo con tutte le prese di posizione che provengono dalle associazioni (peraltro un vanto del Trentino e della sua cultura territoriale) ma rispondere dovrebbe essere caratteristica del sentirsi e dell’essere Trentini, partecipi di beni comuni importanti. In questo senso, il confronto sulla ciclabile gardesana va al di là del dilemma “ciclovia sì”, “ciclovia no”, e investe la comune consapevolezza che l’identità trentina, e quindi la sua autonomia politica, poggia su un territorio meraviglioso ma fragile, e che il vivere in una regione alpina richiede anche e forse soprattutto la consapevolezza che esistono limiti da osservare e rispettare. Ebbene, la ciclovia, nel meraviglioso e unico paesaggio del lago di Garda, a un tempo fiordo nordico e porta sul Mediterraneo (per ritrovare una spiaggia con gli olivi occorre affacciarsi alle coste della Toscana), va oltre il limite in almeno tre ambiti: la pericolosità, la sostenibilità dei costi e l’impatto paesaggistico.
Sul primo punto: l’area è ben conosciuta per i suoi rischi idrogeologici; non lo dicono solo le mappe specializzate, ma anche la prudente sapienza ambientale con cui gli antichi abitatori delle sponde del lago avevano scelto la localizzazione dei loro insediamenti, ponendo limiti all’espansione dei paesi. Senza contare che ora i mutamenti climatici hanno reso più fragili tutte le montagne alpine. Per massi come quello caduto sabato non bastano reti di protezione o tettoie di riparo, destinate ad essere travolte dal loro impatto. Questo reticolo di acciaio è anche responsabile della perdita di identità paesaggistica delle sponde del lago, ingabbiate in tiranti laddove esprimevano un profondo respiro di natura e libertà.
Già fra le due guerre, quando le automobili portavano un turismo d’élite e non di massa non mancarono le polemiche alla costruzione della strada che sbancava e perforava le sponde di un lago che, come è per i laghi alpini, si reggeva su un sistema di trasporti per via d’acqua, battelli e traghetti. Ultimata la strada, primo tributo al secolo dell’automobile, i giovani dei paesi costieri fecero infatti a gara per intervenire, con il loro volontariato, a sanare gli strappi provocati dalle picconate e dagli sbancamenti. Vennero piantati alberi, piccoli cipressi accanto ai massi, olivi negli slarghi, così da trasformare la strada “gardesana” in un paesaggio in se stesso, unico, non più ripetibile, accanto alle limonaie, da cui, in epoca asburgica, partivano le casse di agrumi color dell’oro verso i mercati di Vienna e di Monaco di Baviera. Ora la terra dove fioriscono i limoni, come la descrisse Goethe nel suo viaggio, la si ingabbia invece in tralicci metallici che promettono protezione, ma intanto la sfigurano. Di per sé una ciclabile è un’ottima idea ma l’ideale sarebbe trasformare in ciclabile l’attuale strada gardesana e dirottare sui traghetti le automobili, ma questa opzione pare impossibile benché si stia uscendo dal secolo dell’automobile.
Occorre però impedire che la ciclovia si trasformi in un boomerang, come è avvenuto per la galleria Adige Garda, che riversa nel lago il reflusso del fiume Adige, con le sue acque limacciose e fredde, che trascinano nello specchio lacustre i rifiuti delle aree più urbanizzate e industrializzate del Trentino, con grave danno per un’attività di pesca che andrebbe invece protetta, rilanciata e incentivata.
Infine, i costi: secondo i dati forniti da “Italia Nostra” i 344 milioni previsti per tutto l’anello (140 chilometri) sono destinati a moltiplicarsi per gli aumenti nei materiali e negli oneri di cantiere. La passerella a sbalzo costa fra i 16 e i 22 milioni di euro a chilometro. Allora occorre rivedere tutta la progettazione.
In Norvegia, il trasporto sui fiordi avviene su battelli e traghetti. Dovrebbe avvenire così anche per il Garda, con una ciclabile nei tratti “facili” e un adeguato servizio bici sui meravigliosi battelli a pale che ancora ne caratterizzano i percorsi via acqua. Una “idrociclabile” diverrebbe forse un’esperienza unica in Europa.
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