Dirigenti Pat, sale il compenso ma ci perde l’Autonomia

Il palazzo sede della Provincia Autonoma di Trento. Foto (c) Zotta

Lo spunto:
In Provincia sta prendendo corpo il progetto di adeguamento dei compensi per chi dirige le società partecipate. L’ipotesi (…) è di portare il compenso a 240 mila euro, rispetto al limite attuale di 155 mila euro, importo massimo omnicomprensivo, stipendio e premio di risultato. I potenziali interessati della riforma sono i dirigenti delle cosiddette società di sistema controllate dalla Provincia: Itea, Patrimonio del Trentino, Cassa del Trentino, Trentino Trasporti, Trentino Digitale, Interbrennero, Trentino School of management, Trentino Riscossioni e Trentino Sviluppo.
(l’Adige, 21 febbraio)

L’annuncio che su proposta del massimo dirigente provinciale la giunta Fugatti si prepara a innalzare il tetto degli stipendi ai dirigenti delle società partecipate dalla Provincia apre una serie di questioni che non si riducono all’impopolarità del provvedimento né alla sua evidente e percepita ingiustizia di squilibrio sociale, visto che il tetto di 240 mila euro l’anno, fissato per seguire la normativa nazionale attribuisce in un mese a un dirigente provinciale o “provincializzato” nelle “partecipate”, ciò che spesso un lavoratore “normale” riceve in un anno e questo crea non solo malcontento in un momento in cui chi lavora nei mestieri che costituiscono il “collante” della convivenza- (dagli infermieri alle donne impegnate nei servizi) non riescono a ottenere l’adeguamento della loro busta-paga all’inflazione che ne erode il potere d’acquisto, alle pensioni che vengono ritardate, ai mutui costosi, tanto da far apparire fuorvianti (per usare un eufemismo) le risposte della politica e della pubblica amministrazione quando dichiarano la loro impotenza (”non ci sono i soldi”) di fronte alle richieste di maggiori stanziamenti (o investimenti) in settori strategici come la sanità e la scuola. Viene da pensare che questi ventilati aumenti dirigenziali costituiscano un danno, un’ingiustificata sottrazione di risorse dell’autonomia provinciale. Ma le controindicazioni a un innalzamento così vistoso al tetto degli emolumenti non si fermano qui.

Una prima controindicazione si è già potuta osservare nella scuola, dove si è creato un divario di retribuzione molto alto fra dirigenti e insegnanti, con la conseguenza di mutare profondamente lo stesso profilo con cui i dirigenti vengono percepiti: non più “presidi”, ma rappresentanti di poteri e realtà che spesso vengono sentite come estranee; non più “primi inter pares” fra i loro colleghi insegnanti, ma controparte, e per i genitori degli alunni non più rappresentanti dell’istituzione scuola, ma “commissari” di un potere politico che può anche essere non condiviso, “prefetti” che devono rendere conto di ciò che fanno ad altre realtà e interessi. Questa cancellazione dei “presidi” e sostituzione con “dirigenti” ha fatto perdere autorevolezza alla stessa scuola e ci si chiede quindi se lo stesso avverrà per la Provincia, che significa poi l’Autonomia.

C’è un altro e più grave pericolo, quello di ridurre i “dirigenti” da collaboratori attivi e creativi delle decisioni e delle responsabilità politiche (dall’urbanistica all’economia) a “Yes Men” condizionati dal potere politico, o meglio sarebbe oggi dire partitico, ritenuti cinghia di trasmissione del consenso e delle preferenze degli assessori da cui dipendono e da cui sono stati prescelti. Avverrà così anche per la pubblica amministrazione? È lecito supporlo, posto che è logico pensare che il tetto degli emolumenti dovrà essere prima o poi esteso dalle società partecipate ai dipartimenti e ai servizi provinciali cui fanno riferimento e dai quali ricevono le indicazioni operative.

Ma il pericolo maggiore va oltre e consiste nel far perdere identità e capacità di reale partecipazione propositiva alla dirigenza provinciale dell’autonomia, nel senso che gli stessi dirigenti si sentiranno sempre più “dipendenti” dai politici, condizionati dal loro benestare, dai loro progetti anche se contrari agli interessi generali della comunità territoriale e autonomistica.

Come anche la cronaca di questi giorni conferma, non bastano gli alti stipendi perché dalla dirigenza arrivino alla politica buoni consigli. Più facile assecondare sempre i desiderata dei “capi”. Se dicono sempre “sì” all’assessore di turno i “dirigenti” sanno di avere davanti la carriera spianata, con stipendi assicurati e certo non facilmente ripetibili né in altre regioni, né nel privato. Se si mostrano invece critici e problematici sanno di doversi aspettare risentimenti e ostacoli, emarginazioni e conflitti, accompagnati magari dalla necessità di ricorrere a faticose e, psicologicamente logoranti, azioni giudiziarie. Ma così le istituzioni si impoveriscono e viene a cadere la fiducia dei cittadini verso chi li rappresenta, o dovrebbe rappresentarli, che è proprio quanto pare di osservare di questi tempi nel Trentino.

Sì dirà: “Niente di nuovo sotto il sole”, ed è in parte vero, perché sempre il potere politico nella storia, quando ha cercato di promuovere una sua vocazione di assolutismo, rispetto a un ruolo di mediazione e di equilibrio, ha cercato di condizionare la dirigenza burocratica e i poteri decentrati attirandoli nella sua orbita in rapporti di dipendenza, con il denaro, con le prebende e le lusinghe. Ad esaminare a fondo la questione sembra che la proposta di alzare il tetto degli stipendi possa corrispondere a questa fase, a una strada imboccata pur consapevoli della sua impopolarità e certo lontana dallo stile di un’autonomia nata da ideali degasperiani. Ma, come s’ è accennato, è un metodo sperimentato. Fecero così gli imperatori romani della decadenza per trasformare la “Res Publica” in assolutismo quando depotenziarono il glorioso Senato attribuendo un ruolo solo di facciata ai senatori (il cavallo di Caligola!); fece così in Francia Luigi XIV, il Re Sole, quando costrinse la nobiltà feudale a lasciare i suoi castelli attirandola fra gli ori e i piaceri della sua splendida corte a Versailles.

Nel piccolo Trentino non esiste, fortunatamente, una Versailles, ma ugualmente, con gli alti stipendi la burocrazia provinciale viene più strettamente legata ai nuovi politici di Piazza Dante.

Che fare? Un primo passo potrebbe essere quello di abolire lo “spoil system” di americana origine, introdotto per la dirigenza anni fa (e non mancarono polemiche e obiezioni al fatto che ogni assessore si scegliesse i “suoi” “fedeli”) e ripristinare le prassi di un “civil service”, di un servizio civile di livello europeo, come è stato mantenuto in Gran Bretagna e in Francia, capace di dare identità e autonomia ai servitori e ai funzionari della cosa pubblica.

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