Sono bastate poche ore perché la notizia della morte di Alexei Navalny, il principale oppositore del regime di Vladimir Putin, facesse il giro del mondo. Le poche parole diffuse dal Sistema penitenziario federale sono state riprese da tutti i giornali e dagli attivisti che si spendono per la democrazia. Sono nati così, nella serata di venerdì 16 febbraio, i sit-in silenziosi per ricordare l’attivista morto dopo aver passato tre anni in carcere.
Anche Trento si è aggiunta alla lista delle città che lo hanno ricordato. È stata Dariya,26 anni, studentessa di Scienze politiche e Neuroscienze, a organizzare il presidio. Viene dalla Russia meridionale e ha lasciato la sua città poco meno di due anni fa, qualche mese dopo l’invasione russa dell’Ucraina. “Per me – dice con gli occhi lucidi – era impossibile non fare niente. La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho appreso della morte di Navalny è stata prendere un cartello e scrivere. Siamo stati in piazza Duomo per ore, dalle cinque e mezzo alle nove e mezzo. Abbiamo incontrato diverse persone, tra cui anche il sindaco di Trento, che si è avvicinato chiedendo se poteva farci una foto e dicendoci che supportava la nostra causa”.
Perché la figura di Navalny sia diventata un simbolo per la Russia che resiste al regime di Putin lo spiegano le parole di Dariya. “Non sono mai stata una sua fan e una fan della sua Fondazione Anti-corruzione – precisa – ma riconosco ciò che ha fatto per la nostra politica. Ero scettica quando ha deciso di tornare in Russia, ma ho compreso la sua decisione. Ha detto molte volte che, decidendo di rientrare, era ritornato dal suo popolo, come ha dichiarato anche oggi (lunedì 19 febbraio per chi legge, ndr) sua moglie Yulia. Noi siamo il suo popolo, non ne ha un altro”. Nessuno, spiega Dariya, si aspettava che Navalny sarebbe riuscito a vedere la luce fuori dalla prigione. “Solo pochi giorni prima della sua morte, parlando con dei miei amici dicevo che era più che ovvio che non sarebbe mai più uscito dalla prigione, che sarebbe morto, e anche loro erano d’accordo su questo. Non ci aspettavamo però che capitasse così presto”.
Per Darya ricordare Navalny significa anche ripercorrere la sua storia di attivismo politico, iniziata quando ha cominciato a studiare all’Università di Mosca. Dopo aver condotto le prime campagne per chiedere il diritto di voto per i fuorisede, l’impegno di Dariya è via via cresciuto. “Tra il 2017 e il 2018 ho partecipato a una manifestazione organizzata da Navalny. È stata un’esperienza fantastica. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza per mostrare il loro dissenso nei confronti del regime di Putin. Anni più tardi, quando è scoppiata la guerra, ho deciso di aumentare il mio impegno. Così ho iniziato a divulgare informazioni. Spiegavo ai cittadini ucraini che vivevano nelle zone occupate in che modo potevano arrivare in località più sicure”.
Per chi, come Dariya, abita nel sud della Russia, a due ore dal confine ucraino, la guerra è solamente uno scontro fratricida. “Nel mio albero genealogico ci sono molti ucraini, ed è così per tutte le altre persone che abitano nella mia zona”, spiega la giovane, che ricorda una protesta a cui ha partecipato il 6 marzo 2022. “Assieme ad altre persone della mia età sono stata portata al commissariato, dove hanno preso le nostre impronte digitali e ci hanno schedato. È andata bene però: un altro gruppo di persone che era con noi è stato portato in un commissariato vicino. Lì sono stati tutti torturati”.
Dariya è partita alla volta dell’Italia a maggio 2022. Dopo un periodo a Pesaro, dove era ospite della sua madrina, è arrivata a Trento l’autunno scorso. È inserita nel progetto di formazione universitaria per rifugiati e richiedenti asilo “Futura”, portato avanti dall’Università di Trento. All’inizio voleva smettere di parlare di ciò che succede nel suo Paese, ma, dice, “è impossibile”. “Scorro ogni giorno le notizie. In Ucraina ci sono territori occupati dove le persone non possono accedere all’acqua potabile se non prendono il passaporto russo. Credo che il supporto militare europeo sia fondamentale. Se la Russia dovesse vincere, Putin penserebbe che può fare ciò che vuole dove vuole”.
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