25 febbraio 2024 – Domenica II Quaresima B
Gn 22,1-2.9.10-13.15-18; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10
«Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi». Rm 8,32
La parola che unisce come un filo rosso le tre letture della seconda domenica di quaresima è la parola «figlio». L’immagine che costituisce il minimo comune denominatore della Parola di Dio è quella del figlio amato e donato dal padre, ma anche del figlio che dona se stesso per amore.
Nel brano della Genesi emerge e risalta la fede di Abramo in «Dio che provvede» (cfr. Gn 22,8). La fede di Abramo non è sottomissione cieca, ma fiducia personale. Abramo sa che Dio mantiene la sua promessa, che può intervenire in qualunque momento e nei modi che Lui solo conosce, capovolgendo la morte in vita proprio come ha capovolto la sterilità in fecondità.
La liturgia di questa domenica non vuole però soltanto sottolineare la fede di Abramo, ma anche la sua disponibilità di padre a donare il proprio figlio, diventando l’immagine esemplare di ciò che fa Dio stesso per l’umanità: è Dio Padre a donare per noi il proprio Figlio unigenito e amato. Il più grande esegeta di lingua greca dell’antichità, Origene di Alessandria, vissuto tra il II e il III secolo, così commenta: “Abramo sapeva di rappresentare un’immagine della futura verità, sapeva che dal suo seme sarebbe nato Cristo, il quale sarebbe stato offerto come vera vittima di tutto il mondo e sarebbe risorto dai morti” (Origene, Omelie sulla Genesi 8, 1).
Nella seconda lettura che è tratta dalla Lettera ai Romani l’apostolo Paolo, approfondendo questa idea, spiega che la morte di Gesù Cristo non è un tragico evento ma il massimo gesto di amore di Dio Padre verso di noi e la condizione di un nuovo rapporto con Lui. Così il sacrificio di Gesù Cristo, non è da Lui subìto passivamente come una tragedia, ma vissuto da protagonista e con un fine preciso, quello di «intercedere per noi».
Davanti al dono che Dio fa a noi del proprio Figlio, l’atteggiamento richiesto è quello dell’accoglienza e dell’ascolto come suggerisce la voce del Padre nel racconto della trasfigurazione. Gesù è il Figlio di Dio che dà pienezza di significato e di realizzazione alle promesse antiche comunicate attraverso la Legge (rappresentata da Mosè) ed i Profeti (raffigurati in Elìa). Essendo l’episodio della trasfigurazione collocato tra la confessione di Pietro («Tu sei il Cristo») e l’annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù, è un testo che ci mette in guardia dall’illusione di una fede facile, che non sa accettare ed integrare la dimensione della sofferenza e dell’impegno nel cammino personale che, sulle orme pasquali del Cristo, conduce alla comunione con Dio.
Come suggerisce la colletta domenicale è bene che questo itinerario lo abbracciamo liberamente e lo percorriamo consapevoli dalla meta alla quale ci condurrà: “O Dio, Padre buono, che hai tanto amato il mondo da dare il tuo Figlio, rendici saldi nella fede, perché, seguendo in tutto le sue orme, siamo con lui trasfigurati nello splendore della tua luce” (colletta B).
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