Non si può e non si deve sottovalutare quel che potrebbe uscire dalla decisione di Italia, Francia e Germania di mettere in campo una forza militare a tutela dei traffici navali nel Mar Rosso contro le attività piratesche degli Houti (perché questo esse sono e non certo una nobile causa ideale). Usiamo tutti i condizionali, perché tra il dire e il fare c’è davvero di mezzo il mare: dobbiamo attendere che la decisione sia formalizzata, che gli staff militari e diplomatici dei tre paesi convengano tra loro regole di ingaggio e pianificazione dell’intervento, che si gestiscano le ricadute dell’operazione nelle opinioni pubbliche di Francia, Germania e Italia e nei gruppi dirigenti dei molti paesi che sono ormai attivamente coinvolti in questa grande crisi internazionale. Tutte cose che possono ridimensionare e indebolire anche molto quel che si sta mettendo in piedi.
Per l’Italia ci sono opportunità e scogli da superare. Cominciamo da questi ultimi. C’è da sperare che non entri in campo un antimilitarismo vecchio stile e un pacifismo tutto astratto, ma è quasi scontato che non sarà così. Quando la segretaria del PD, cioè di un partito che dovrebbe avere tradizioni di governo, si lascia andare su questo terreno a valutazioni francamente da Bar Sport non c’è da illudersi più di tanto. Naturalmente qualcosa di simile con opposte connotazioni e motivazioni arriverà anche dal fronte della destra, in cui le pulsioni di un militarismo guerrafondaio hanno antiche radici. La prospettiva è quella del solito scontro da talk show con le maschere degli uni e degli altri che si contendono l’audience.
Varrebbe invece la pena di valutare le opportunità che la situazione offre. L’accordo per un intervento militare congiunto fra tre paesi fondatori dell’Europa potrebbe portare a riflettere sulla necessità di arrivare ad una politica comune di difesa europea. Gli osservatori più attenti fanno notare che di questa ci sarà gran bisogno se Trump vince le elezioni americane, poiché ha più volte ribadito che gli europei devono arrangiarsi da soli per la tutela armata dei loro interessi ed ha anche, neppure tanto velatamente, minacciato di volere, se non sciogliere, ridurre ai minimi termini la Nato.
Siccome una politica di difesa comune non si improvvisa, anche un’operazione su piccola scala come quella che si ipotizza nel Mar Rosso può diventare un primo passo, soprattutto perché vede connessi tre paesi chiave nella storia della UE. Aggiungiamoci che quell’intervento sembrerebbe mostrare (continuiamo ad usare per prudenza il condizionale) che si è superata una certa soglia di egoismo nazionale. Infatti il blocco della navigazione attraverso il Canale di Suez danneggia l’Italia molto più degli altri due paesi, in quanto gran parte del flusso navale si dirigeva verso i porti italiani. Anche quelli francesi soffrono della situazione, ma meno, e soprattutto la Germania in astratto potrebbe avere vantaggio da una navigazione che dopo aver circumnavigato l’Africa si dirigerebbe verso i suoi porti e verso quelli olandesi sull’Atlantico (anche la Francia ne ha qualcuno).
Sembra che si sia capito che un indebolimento delle vie del commercio attraverso Suez impatterebbe sul sistema economico europeo nel suo complesso e che dunque le conseguenze sarebbero poi pagate da tutti. Aggiungiamoci che l’intesa fra Francia, Germania e Italia mostra che si può agire nella UE senza passare per le forche caudine dell’unanimismo dei 27 paesi membri. Sarebbe un caso di collaborazioni volontarie che superano la necessità di estenuanti trattative allargate e questo è stato già più volte prospettato come uno strumento per consentire ai paesi che vogliono far crescere l’Europa semi-federale di provarci nonostante le resistenze dei contrari.
In tutto questo il nostro paese gioca un ruolo significativo e non è poco, viste le debolezze che contraddistinguono la posizione italiana sul piano economico: se è vero che in paragone agli altri paesi della UE la nostra economia non è affatto in cattiva salute, lo è altrettanto che il nostro enorme debito pubblico ci schiaccia e ci mette alla mercé di chi volesse darci qualche calcio negli stinchi o anche qualcosa di peggio per impedirci di esercitare un ruolo nel gruppo di testa delle forze che modelleranno e dirigeranno la UE dopo le ormai vicine elezioni.
È interesse di tutto il paese che le opportunità derivanti da questa situazione, non certo fortunata né auspicabile in sé, ma con cui dobbiamo giocoforza confrontarci possano essere sfruttate appieno e per farlo c’è bisogno di una opinione pubblica che capisca il momento storico e che obblighi la politica a fare altrettanto lasciando perdere giochetti e lotte di fazione.
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