6 gennaio 2024 – Epifania
Is 60,1-6; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
“I Magi prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Mt 2,11
La solennità dell’Epifania mette in scena la manifestazione di Gesù che nella sua umanità si rivela come Re delle genti e Dio incarnato per la salvezza dell’umanità intera. L’apostolo Paolo (II lettura) con un linguaggio di una densità teologica particolare annuncia la manifestazione del “mistero” di Dio, cioè del suo progetto di salvezza lungamente preparato e lentamente fatto avanzare nel corso della storia: “Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo” (Ef 3,5-6).
Il Vangelo, per farci comprendere la manifestazione di questo progetto di salvezza, mette in scena un racconto nel quale alcuni saggi dell’Oriente (i Magi) si mettono in cammino dopo una lunga ricerca basata sulle loro conoscenze filosofiche, scientifiche e religiose. Hanno intuito la nascita di un nuovo Re in Giudea e si sono lasciati guidare dalle loro conoscenze, che si dimostrano però insufficienti finché non viene loro annunciata la Scrittura, cioè la parola profetica rivelata che la piccola (e insignificante) Betlemme è destinata ad essere la patria natale dalla quale “uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele” (Mic 5,1 parla di “dominatore”, l’evangelista Matteo v. 2,6 parla invece di “capo-pastore”).
Quando questi saggi, che rappresentano tutta l’umanità, raggiungono la casa di Giuseppe e di Maria e vedono Gesù bambino compiono due gesti che sono di particolare importanza: si prostrano in adorazione e offrono oro, incenso e mirra. Sono gesti che stanno ad indicare da un lato la sottomissione al re che è nato e dall’altro l’omaggio del tributo. Sono due gesti che nei secoli sono stati riletti come indicativi di quella che dovrebbe essere la nostra relazione con Dio (che si manifesta nel bambino Gesù) a partire dal riconoscimento di chi è quel bambino. I Padri della Chiesa hanno sintetizzato attraverso il significato dei tre doni il significato della persona e della vita del bambino: “Con l’incenso lo riconoscono Dio, con l’oro lo accettano quale re, con la mirra esprimono la fede in colui che sarebbe dovuto morire” (Pietro Crisologo, Discorso 160). Anche una delle strofe dell’antico inno “Magi vidéntes párvulum” usa parole simili: “Oro e incenso proclamano / il Re e Dio immortale; / la mirra annunzia l’Uomo / deposto nel sepolcro”.
A questo riconoscimento consegue il gesto dell’adorazione. Benedetto XVI, così ha spiegato in modo semplice e profondo il significato di questa parola e di questo gesto: “La parola greca suona proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire. Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni… La parola latina per adorazione è ad-oratio cioè contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore” (Benedetto XVI, Omelia 21 agosto 2005).
Nell’Epifania Dio si rivela a noi nel bambino Gesù, anche noi lo riconosciamo come Signore e come Dio che ha scelto di condividere la nostra umanità fino alla morte. È quel bambino ad essere il dono di Dio per noi e il Dio che si dona a noi. Davanti a Lui anche noi pieghiamo le ginocchia con amore e lo mettiamo al centro della nostra vita.
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