Su un campo da calcio non si gioca solo con la palla al piede, ma anche da arbitro. È questo anche lo slogan che ha caratterizzato il mese di ottobre del Comitato trentino dell’AIA, Associazione italiana Arbitri, presieduta dal mese di luglio da Maicol Ferrari, 33 anni, oltre 200 gare a livello nazionale come assistente arbitrale, che ha preso il posto di Giorgio Daprà, in uscita dopo otto anni di mandato.
Ferrari, riusciamo a tracciare un primo bilancio dell’iniziativa “Gioca da arbitro”?
Grazie all’impegno delle sezioni che si sono prodigate nel reclutamento sui social come nelle scuole, l’iniziativa ha avuto un discreto successo. Ci sono zone dove è più semplice reclutare nuovi arbitri, altre meno. A Trento città c’è sempre stata più abbondanza, nelle periferie è più difficile. In questo inizio stagione abbiamo avuto una trentina di iscritti, soprattutto under 20, che è il nostro principale target, ma non solo: ad esempio è diventata arbitra anche una trentenne. Alla fine però è il bilancio tra entrate e uscite che ci dice se abbiamo fatto bene o no.
Insomma, quello dell’abbandono resta sempre un tema attuale.
I casi sono diversi, c’è chi lascia per età, perché ha provato ma ha capito che la cosa non fa per lui. E poi, purtroppo, c’è anche chi si spaventa di fronte a comportamenti non certo edificanti. È un discorso delicato e per questo ci confrontiamo con le società, con particolare attenzione ai settori giovanili: il messaggio che deve passare è che l’arbitro, deve avere l’opportunità di crescere, e l’arbitro – come per altro il calciatore – crede anche sbagliando. A entrambi va data la possibilità di sbagliare: mi piacerebbe, in panchina come in tribuna, che ci fosse un po’ più di tolleranza verso l’errore.
In questo senso anche la collaborazione con la FIGC è importante.
Certamente. E voglio ringraziare la Federazione e il suo presidente Grassi che ha capito perfettamente quello che può portare il nostro movimento al di fuori della domenica. Va fatto uno step in più, per portare cultura all’interno delle società, cultura delle regole. Dobbiamo aprirci, farci conoscere per quello che siamo, come portatori di regole e di valori. Perché facciamo tutti parte dello stesso bel gioco, pur, naturalmente, vedendolo da prospettive e ruoli diversi. Se ne siamo tutti consapevoli possiamo davvero combattere insieme i comportamenti negativi, in campo e fuori: e in questo la possibilità del doppio tesseramento, attraverso la quale un giocatore fino ai 19 anni può essere sia calciatore sia arbitro, può essere decisiva.
Appunto. Come sta andando la sperimentazione?
In tutta la provincia ne abbiamo una decina, è un qualcosa che pian pianino sta prendendo piede. In provincia di Trento abbiamo una settantina di società e, il mio sogno è che ognuna, un giorno, possa portare anche un nuovo ragazzo all’anno a fare l’arbitro. La cosa sarebbe un beneficio per tutto il sistema: porterebbe cultura, regole, conoscenza all’interno della società perché mettendosi nei panni dell’arbitro si capiscono tante cose. E poi, naturalmente, nuove forze per noi. Perché ce n’è sempre bisogno.
E anche chi decide di diventare arbitro può trarne beneficio.
Parlo anche per esperienza personale dato che ho iniziato nel 2007, a 15 anni. Fare l’arbitro è davvero qualcosa che ti aiuta a maturare, che ti fortifica, insegnandoti la cultura del rispetto e delle regole che oggi sembrano valere sempre meno. Si entra poi a far parte di un gruppo, di un bel gruppo, si comincia a capire il valore dell’impegno e del sacrificio che, per altro, viene corrisposto anche economicamente.
I numeri del movimento trentino?
Siamo in 324 arbitri, 26 ragazze. Un numero che negli anni si mantiene costante, anche se è giusto far notare che il movimento si è molto ringiovanito e questo fa ben sperare per il futuro. Anche se, come è logico che sia, la gioventù porta con se anche un po’ di inesperienza. E il giovane oggi va per prima cosa ascoltato, non soltanto sotto l’aspetto tecnico ma anche per cose che esulano dall’arbitrare: la scuola, la sfera privata. Ecco, in questo senso la nostra associazione può diventare davvero una seconda famiglia.
Il primo consiglio che dà a chi scende per la prima volta in campo col fischietto in mano?
Divertirsi sempre. Deve essere la prima cosa ed è la più importante, anche se ci si trova in mezzo a tante persone e situazioni diverse da gestire. Divertirsi, crescere come persona, non pensare solo al risultato, che, per altro, con il lavoro e il tempo, arriverà.
Arbitro si nasce o si diventa?
Superato l’esame ti metti in tasca la qualifica, poi ognuno raggiungerà i traguardo che merita, sviluppando in maniera personale il suo percorso. Non tutti saranno Daniele Perenzoni, tanto per citare l’arbitro trentino che in questo momento ci rappresenta ai massimi livelli, avendo esordito in serie A, un anno fa. Non tutte saranno Silvia Gasperotti, una delle poche arbitre internazionali che abbiamo in Italia a livello femminile e che con la promozione a giugno si è approcciata alla serie C. O Alessandro Malfer, che da un paio di anni è diventato osservatore internazionale UEFA, dopo una carriera di arbitro di calcio a 5 ai massimi livelli. Ma penso che già raggiungere la propria serie A sia un gran risultato: c’è chi ci metterà un mese a scalare una categoria, chi un anno. Ma la cosa importante è che tutti hanno la possibilità di poterlo fare.
Un arbitro deve aver per forza giocato a calcio?
Parlo ancora una volta per esperienza personale, a calcio non ho mai giocato, ero abbastanza negato e non ho problemi a dirlo. Vedendola a posteriori se avessi giocato avrei fatto meno fatica, soprattutto all’inizio a capire determinate dinamiche, a superare certi ostacoli. Ma, capendo il gioco, si può tranquillamente essere arbitro senza aver giocato.
Ferrari, per concludere, come si trova nel suo nuovo ruolo?
Cambia tutto, scendere in campo è una cosa, mettersi dietro una scrivania un’altra: ma la passione è intatta. Ora, cerco di declinarla sotto una luce diversa, a fianco dei ragazzi che crescono. Ho fatto nove anni di nazionale, quello che ho imparato in tutto questo tempo, tutta l’esperienza che ho messo via ora devo trasmetterla ai giovani che hanno lo stesso traguardo. Mi piace sentire l’entusiasmo, quello che c’era al raduno di Folgaria quest’estate, due giorni intensi durante i quali abbiamo cercato di trasmettere un forte input sui comportamenti e le regole, sulla necessità di incarnare il rispetto, della persona prima di tutto. Noi gli diamo gli strumenti, i ragazzi, loro li mettono in pratica . Pagherò un po’ di inesperienza rispetto al ruolo, ma cercherò di mettere tutto quel che posso per far crescere il movimento.
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