Pietro Nervi, “uomo probo” custode dell’Autonomia

Una bella immagine di qualche anno fa del prof Pietro Nervi nel Parco dei Mestieri della montagna, nel giardino vescovile – foto Gianni Zotta

Lo spunto:
È scomparso nella tarda serata di mercoledì 25 ottobre, a conclusione di un breve ricovero in ospedale, il professor Pietro Nervi. Attento e acuto studioso degli aspetti economici, politici e culturali legati alle proprietà collettive e ai beni di uso civico, era professore emerito dell’Università di Trento, dove aveva insegnato Economia e Politica montana e forestale.
(da Vita Trentina)

La scomparsa di Pietro Nervi lascia un profondo vuoto, di affetti e di amicizia nel Trentino, ad iniziare dalla moglie Maria Rosa, una colonna portante per intelligenza gestionale e per capacità di simpatia relazionale del Museo tridentino di Scienze naturali. Lascia anche una figlia e un figlio e molti estimatori e amici anche fuori dall’ambito accademico.

Originario di Savona, la città ligure che unisce il mare alle montagne piemontesi, ha dato al Trentino più di quanto abbia ricevuto rafforzandone e precisandone l’identità, soprattutto negli anni Sessanta, quando fu in quella pattuglia illuminata di studiosi che prepararono il Piano urbanistico provinciale.

Nervi non solo rilanciò la struttura di supporto all’economia montana di questa terra studiando i beni collettivi di cui le espressioni più importanti restano la Magnifica Comunità di Fiemme con la gestione dei suoi boschi e le Regole di Spinale Manez per i pascoli, autentici strumenti di autogoverno e sostenibilità (sono beni inalienabili, devono passare alle future generazioni in una virtuosa trafila di rispetto e tutela) ma diede anche nobiltà e risonanza nazionale al lavoro in montagna, seguendo da vicino le malghe e le loro lavorazioni casearie.

Seguiva particolarmente i liberi pastori e casari del Lagorai, promossi da Laura Zanetti, con la quale spesso incrociava conoscenze ed esperienze. In questo senso Pietro Nervi, come tanti altri studiosi venuti nel Trentino in quegli anni, vedeva gli esperimenti autonomistici trentini come possibile modello per altre realtà italiane, un laboratorio di buone pratiche. In questo suo impegno che comprendeva anche un rinnovato interesse per gli usi civici (che pure sono cosa ben diversa dai demani collettivi) e sui quali ebbe a scontrarsi con agguerriti interessi economici, politici e immobiliari, ebbe il sostegno del prof. Paolo Grossi, che sarebbe poi diventato presidente della Corte costituzionale e che salì più volte a Trento per incontri, convegni e dibattiti. Anche le vicine comunità del Bellunese e dell’Ampezzano vedevano come riferimento il lavoro che stava portando avanti Pietro Nervi a Trento, tale da radicarsi in una sorta di “scuola trentina” sui demani collettivi, che oggi vede come esponenti di spicco, su versanti anche diversi, i prof. Marta Villa e Mauro Job.

Nervi dal Trentino ha avuto notevoli riconoscimenti di stima e simpatia. Recentemente, al compimento dei 90 anni, ha ricevuto la massima onorificenza cittadina, l’Aquila di San Venceslao, e negli anni passati, per il suo impegno nella tutela della natura senza faziosità è stato nominato “uomo probo” dal Comune di San Lorenzo di Banale, con una targa consegnatagli in Val d’Ambiez, mentre l’ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai, ricordandone l’impegno sul territorio, ha dato di lui la definizione forse più precisa: “Una delle menti più rigorose e indipendenti nel giudizio”.

Va ricordato un altro merito del quale il Trentino deve essergli grato: aver impedito la cementificazione esasperata della Valle dell’Adige. All’inizio degli anni Sessanta le spinte del mercato e gli interessi dei settori economici più forti spingevano per una grande “megacittà lineare”, un unico complesso urbanizzato da Rovereto a Bolzano, che avrebbe significato cancellare lungo l’Adige ogni presenza agricola (altro che Trento Doc e Teroldego!), scardinando ogni equilibrio paesaggistico e territoriale.

Fu Pietro Nervi a trovarsi in prima fila per bloccare questo disegno, che avrebbe portato il Trentino a trasformarsi in una sub-periferia urbana, convincendo invece l’allora Presidente della Provincia, Bruno Kessler, e l’apparato burocratico ad optare, attraverso i Comprensori, per una “città diffusa”, dove ogni valle dovesse avere un centro dotato dei servizi propri di una città nella scuola, nell’assistenza, nella vivibilità. Questa scelta ha salvato il Trentino, anche se il disegno originario s’è indebolito per la crisi dei Comprensori, sempre più visti come bacini clientelari invece che strumenti territoriali, per la crisi delle strutture sanitarie, per il peso eccessivo della monocultura turistica che spinge i giovani altrove. Ma ugualmente la vivibilità dei centri di vallata resta alta, ben superiore a quella di molte aree (per non dire periferie) urbane. Anche questo, assieme alla riconsiderazione dei beni collettivi indivisi, è un merito di cui il prof Nervi va ringraziato, un suo lascito al Trentino.

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