Il governo ondeggia, ma va avanti

Foto Facebook Adriano Galliani

Come sempre quasi tutti leggono i risultati elettorali a modo loro. Forza Italia si compiace per il successo di Galliani a Monza nella suppletiva per la scomparsa di Berlusconi e sorvola sul fatto che ha votato il 19,3% e che tanto in Trentino quanto in Alto Adige è ridotta a niente. Ad uno sguardo un poco disincantato i risultati elettorali sono interessanti e non testimoniano affatto il consenso per la buona amministrazione come vogliono far credere i vincitori. Se così fosse non ci sarebbe un 40% di astenuti in Trentino e un 30% in Alto Adige dove solo le non sopite tensioni etniche garantiscono una partecipazione un po’ più alta. Se uniamo il dato dell’astensione a quello della frammentazione delle liste (neppure il tradizionale partito “di raccolta” come era l’SVP è più tale) diventa abbastanza chiaro che in parte cospicua siamo oramai al confronto fra blocchi di corporazioni, per lo più di interessi, in qualche caso di progettazioni del futuro. Non è stupefacente che in un contesto del genere prevalgano le coalizioni di governo, che hanno avuto occasione di beneficare le proprie corporazioni e quindi di legarle a sé.

Le opposizioni, specie quelle componenti legate al mondo delle tradizionali nomenclature, mantengono a fatica il nocciolo forte delle loro corporazioni, ma non riescono a sfondare nel vasto mare dell’astensionismo che solo potrebbe rilanciarle, perché non si vede ragione per cui corporazioni beneficiate dal potere in carica dovrebbero abbandonarlo mettendo a rischio i loro guadagni.

La politica ha introiettato questo contesto e si organizza di conseguenza: chi è stato al potere rafforza i legami di distribuzione delle risorse che controlla, chi è stato all’opposizione si accontenta di consolidare la sua riserva indiana. Vale anche a livello nazionale, se si prescinde da un po’ di demagogie per conquistarsi qualche spazio nei talk show. Semmai, come vedremo, la lotta sempre più subdola si muove all’interno delle coalizioni per sgambettarsi a vicenda. A livello di governo Meloni e i suoi si concentrano su un doppio binario: mantenere una credibilità finanziaria per non perdere la possibilità di attingere ai mercati dei capitali a sostegno di un debito pubblico che non si riesce a ridurre, mettere in campo qualche riforma simbolica che allarghi il consenso popolare senza impegnarsi in alcuna seria revisione di sistema.

Così da un lato si continua nella blindatura della legge di bilancio, che è il passaggio essenziale per evitare declassamenti delle agenzie di rating: se ci fossero, piazzare i titoli di stato diventerebbe costosissimo, generando ulteriore indebitamento. Al tempo stesso si procede con qualche riforma del sistema di tassazione, consapevoli che è un argomento a cui l’opinione pubblica è molto sensibile. Quanti vantaggi reali ci siano per il contribuente sarà da vedere, ma l’effetto annuncio intanto potrebbe pagare almeno un poco. Poi c’è la sempiterna questione della riforma della giustizia. Siamo nuovamente all’annuncio che il ministro Nordio presenterà la sua proposta, ma non è ancora chiaro se e quanto sarà incisiva. Questo è il classico caso in cui contano i dettagli, perché gli obiettivi generali finiscono spesso vanificati da codicilli, scritture infelici delle norme, variazioni che vengono introdotte in corso d’approvazione per pressione di questa o quella lobby.

Blindare una riforma di questo tipo è praticamente impossibile per il governo: i parlamentari dei diversi partiti di maggioranza non potrebbero accettare di perdere il loro potere di scambio con le lobby lasciandolo poi nelle mani della sola opposizione, né i vertici delle forze politiche sono in grado di garantire a tutti loro un ritorno per una prova di fedeltà all’impostazione del governo.

Torniamo così al tema della coesione nelle coalizioni di governo, o delle alleanze più o meno larghe in quelle di opposizione. Nelle prime la lotta interna, per quanto sorda, è abbastanza palese. Non a caso Meloni continua a denunciare che la si vorrebbe delegittimare usando anche il pettegolezzo e l’intromissione in affari personali. Non è cedimento al vittimismo, ma consapevolezza che i successi repentini (e quello di FdI sotto la sua guida lo è) possono svanire più in fretta di quel che si pensi: basta guardare alla vicenda dei Cinque Stelle. Le difficoltà di Forza Italia e il mai sopito movimentismo di Salvini sono campanelli d’allarme che hanno già squillato.

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