24 settembre 2023 – XXV Domenica TO A
Is 55,6-9; Fil 1,20-27; Mt 20,1-16
«Sei invidioso perché io sono buono?». Mt 20,15
Il comportamento antisindacale del protagonista della parabola di questa domenica è per noi profondamente irritante. In modo spontaneo e naturale ci associamo al coro di proteste che gli operai della prima ora, pagati tanto quanto quelli dell’ultima, innalzano contro questo padrone lunatico e dispotico. Gesù racconta volutamente una parabola irritante proprio perché il suo obiettivo non è quello di insegnarci quale debba essere il salario minimo sindacale o come si stabilisca la paga dei dipendenti. Gesù ci presenta un racconto con una conclusione irritante proprio perché vuol farci riflettere provocandoci e mettendo in crisi una mentalità che applica i criteri sindacali non solo al calcolo degli stipendi ma anche alla salvezza, che in realtà otteniamo “per sola divina misericordia” (cfr. Francesco d’Assisi, Regola non bollata, XXIII,8: FF 69).
Gesù ama i racconti paradossali, quelli dal finale imprevisto, quelli dalle conclusioni sconcertanti, perché sono i più adatti per demolire gli stereotipi e i luoghi comuni, che ci impediscono di riconoscere il vero volto di Dio. Con questa parabola, alla fin fine, ci vengono dette due cose: anzitutto che l’agire di Dio nei nostri confronti è libero e gratuito. Dio non è vincolato ai nostri schemi mentali (cfr. la prima lettura), e non è vincolato nemmeno ai nostri meriti, ma agisce in base alla sua bontà, che è senza misura. Gesù vuol far capire a chi è da sempre “religioso” che anche per i peccatori e per i lontani c’è la possibilità di incontrare Dio, nonostante una disastrosa storia personale. Purché davanti all’invito di Gesù e nell’incontro con lui accolgano l’invito ad entrare nel regno di Dio e si lascino raggiungere dalla misericordia smisurata di Dio.
Il secondo insegnamento importante della parabola riguarda il nostro modo di recepire la bontà gratuita di Dio nei confronti del nostro prossimo. La tentazione di essere invidiosi è accovacciata dentro il nostro cuore e sempre pronta a risvegliarsi. Così la tentazione di indignarsi interiormente e di scandalizzarsi prende fuoco perché qualcuno che ci sembra più peccatore di noi alla fine ottiene da Dio lo stesso perdono, gli stessi benefici che otteniamo noi e per di più senza aver neanche fatto la nostra stessa fatica! Anche questo è un atteggiamento religioso sbagliato, e sottintende l’idea che ciò che Dio mi darà mi è dovuto! Sottintende anche una vita religiosamente triste continuamente prigioniera del confronto e che ha bisogno di fare una scoperta fondamentale come già aveva intuito il salmista, dopo una lunga e tormentata riflessione, entrando nel tempio di Dio: “Quando si agitava il mio cuore / e nell’intimo mi tormentavo, / io ero stolto e non capivo, / davanti a te stavo come una bestia. / Ma io sono con te sempre: / tu mi hai preso per la mano destra. / Mi guiderai con il tuo consiglio / e poi mi accoglierai nella tua gloria” (Sal 73,21-24).
Se Dio è buono, vale la pena rallegrarsi. Se la “paga” di fine giornata è la comunione con Lui, vale la pena desiderarla ed invocarla per tutti. Se talvolta ci sembra inutile faticare fin dalle prime ore per esser pagati come quelli dell’ultima, teniamo presente che lavorare nella vigna del Signore è già essere nella comunione con Lui, è già poter gioire della sua bontà infinita. Come ricorda Dante, nella comunione con Dio ogni situazione è esperienza di paradiso, anche se la grazia del Sommo Bene raggiunge ciascuno in modo singolare (cfr. Paradiso, III,85-87).
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