Vacanze finite e lavoro politico obbligatoriamente ripreso. Ci sono i problemi contingenti che non sono affatto roba da poco: basti pensare al fenomeno degli sbarchi che ha raggiunto cifre record, veramente difficili da gestire. Credere che si possa affrontare il flusso con un nuovo decreto sicurezza è demagogia alla buona.
I rimpatri sono ingestibili, perché gli Stati di provenienza non si riprendono indietro i migranti, molti sono minori non accompagnati che non si saprebbe bene a chi restituire. Si può lamentarsi a ragione dell’incapacità europea di intervenire, ma la speranza di ottenere qualcosa più che buone parole e forse qualche aiutino economico è vana.
Poi ci sono i problemi strutturali che il governo dovrà affrontare senza avere disponibilità di bilancio. La scelta della premier Meloni di privilegiare gli interventi a favore dei redditi bassi e delle famiglie è apprezzabile, ma la ristrettezza di risorse non consentirà di fare molto. Soprattutto c’è il rischio, abbastanza concreto, che quel poco di incrementi che si potranno dare ai bassi salari e alle pensioni minime vengano annullati dal progredire dell’inflazione. Anche questo è un fenomeno sul quale non è semplice incidere.
La tradizionale manovra di innalzamento del costo del denaro ha riflessi minimi sui consumi di base (il cosiddetto carrello della spesa), che è dove l’aumento dei prezzi penalizza i ceti economicamente più deboli. Non sappiamo se davvero sortirà qualche risultato lo sforzo del ministro Urso di ottenere una moratoria sui prezzi dei beni di consumo essenziali. Francamente ci sembra difficile, ma speriamo di sbagliarci.
L’invito della premier ai Ministeri a tagliare le spese inutili è un appello di rito che fanno più o meno tutti i governi per scoprire che a stare ai responsabili dei vari dicasteri spese inutili ce ne sarebbero veramente pochissime. Naturalmente non è vero, ma con una campagna elettorale ormai aperta per le fatidiche elezioni europee ogni partito vorrebbe avere qualcosa da distribuire ai propri elettori.
Più che mai questa volta resistere sarà una necessità, se non vogliamo essere messi all’angolo da una Unione Europea che è anch’essa vittima della sindrome elettorale.
L’Italia si batte per evitare che dal primo gennaio prossimo si torni alle regole comunitarie di bilancio quali erano in epoca pre-Covid. Potremmo contare sulla carta di qualche intesa con Francia e Spagna (al di là dei problemi di relazioni con questi Paesi gestite male sin qui), ma abbiamo contro il rigorismo tedesco. Certamente non ci gioverebbe una politica di bilancio poco rigorosa che ci farebbe fare la solita figura delle cicale irresponsabili, ma non ci giova neppure avere la palla al piede di Salvini che insiste per portare in una ipotetica futura coalizione europea la Le Pen, invisa a Macron, AfD nazistoide vista malissimo a Berlino, per non parlare dell’improvvido appoggio di Meloni a Vox, certo non un buon viatico per trattare con la Spagna.
Le nostre classi dirigenti sono per lo più insensibili a queste prospettive. Non parliamo solo della maggioranza di destra-centro, ma anche delle opposizioni. Se ragionasse sullo scenario attuale, la Schlein si sarebbe trattenuta dallo sposare l’ipotesi di riduzione delle nostre spese militari in ambito Nato, perché anche trovate inutili come queste contribuiscono all’immagine di un Paese che non sa stare sulla scena internazionale.
Siamo ancora ai prodromi di un’azione di progettazione del nostro bilancio per il prossimo anno. La Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza arriverà a fine settembre e non è detto che sia un documento definitivo. Da ottobre si entrerà nel vivo delle trattative e sarà quello il passaggio decisivo.
Tuttavia è bene sapere che se intanto la maggioranza intasa il traffico con richieste a vanvera (e basta Salvini per fare caos e confusione), se le opposizioni non escono dal cerchio magico delle richieste cosiddette identitarie (roba che va a vantaggio solo dei 5 Stelle e di qualche partitino estremista), non si riuscirà a produrre una legge di bilancio che trasmetta fiducia al Paese e ai mercati.
La fiducia è un ingrediente assolutamente fondamentale se non vogliamo cadere in un gorgo di instabilità che non giova a nessuno. È necessario che l’elettorato si mostri capace di distinguere più tra gli uomini e le donne che devono fare politica che non tra le molteplici bandierine che affollano il nostro panorama.
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