Democrazia sotto attacco in Africa a vantaggio di Cina e Russia

La democrazia è ancora sotto attacco in Africa. Questa volta è toccato al Niger, uno dei paesi più poveri, anche se ricco di uranio, del Continente. Dal 2020 ad oggi si sono succeduti colpi di stato militari in Mali, Burkina Faso, Sudan, Ciad e Guinea. Democrazia sotto attacco in Africa.

Questa volta è toccato al Niger, uno dei paesi più poveri, anche se ricco di uranio, del Continente. Dal 2020 ad oggi si sono succeduti colpi di stato militari in Mali, Burkina Faso, Sudan, Ciad e Guinea. Ultimo in ordine di tempo il Niger, che nei giorni scorsi ha vissuto il rovesciamento di Mohamed Bazoum eletto democraticamente solo un paio d’anni fa. A metterlo agli arresti domiciliari e ad autonominarsi nuovo leader è stato il capo della sua guardia presidenziale, il Generale Abdourahmane Tchiani. Una storia che si ripete con impressionante regolarità nell’ampia fascia del Sahel e del Nord Africa.

Le ragioni addotte dai golpisti sono sempre le stesse: lotta alla corruzione e crescita esponenziale della miseria economica per una popolazione già particolarmente colpita in questi ultimi anni dalla pandemia, dall’inflazione globale e, da ultimo, dalla guerra del grano fra Russia e Ucraina che ha fatto lievitare il costo delle materie prime. Aggiungiamoci la crisi climatica che rende sempre più improduttivo il territorio africano, in regioni dove già la povertà è estremamente diffusa. In questa ultima occasione, come pure nel Mali e Burkina Faso, ad essere messo sotto accusa
dai golpisti è stato il colonialismo francese manifestatosi nell’attacco dei sostenitori dei militari all’ambasciata di Parigi a Niamey. Assieme ai francesi ad essere chiamati sul banco degli imputati sono anche gli americani che nel paese hanno un’importante base militare e che in Bazoum avevano trovato un sicuro alleato nella lotta contro l’estremismo islamico in Africa. A rendere ancora più intricata la situazione è il fatto che i militari responsabili del rovesciamento dei regimi democratici sono quasi tutti stati addestrati dalle forze americane e francesi.

È questo il fallimento di una politica di intervento nel campo della sicurezza che tocca un po’ tutto l’Occidente, compresa l’Unione europea che negli ultimi anni ha concesso ben 40 milioni di euro per sostenere l’esercito del Niger. Un imbarazzo ben misurabile oggi dalla decisione di Francia, Usa ed Unione europea di sospendere sia la cooperazione militare che quella economica. Imbarazzo che non hanno altri attori esterni all’Africa. Anzi, dalla debolezza dell’Occidente traggono enormi benefici per le loro ambizioni politiche e di influenza sui paesi africani. I primi sono naturalmente i russi, che con le milizie militari della Wagner hanno già cacciato i francesi dal Mali e dal Burkina Faso e magari, anche se per il momento lo smentiscono, si apprestano a subentrare anche in Niger.

Per una strana coincidenza, proprio nei giorni del golpe a Niamey si teneva il vertice russo-africano a San Pietroburgo. Anche se per Vladimir Putin il successo di partecipazione è stato modesto (solo 17 capi di stato africani rispetto ai 43 del primo vertice nel 2019), purtuttavia la sua promessa di fornire gratuitamente 50.000 tonnellate di grano ha fatto breccia. Fatto assurdo, poiché a bloccare l’accordo sull’esportazione del grano ucraino assieme a quello russo è stato proprio Putin ormai in evidenti difficoltà nella guerra con Kyiv. Ma tant’è, per Mosca la rivolta in Niger può permettere di rimettere in gioco l’ex-golpista Yevgeny Prigozhin, il capo delle milizie Wagner, che solo un mese fa sembrava volere arrivare a Mosca per rovesciare il regime di Putin. Ora per Prigozhin si apre un promettente futuro di ripresa delle sue nefaste azioni in Africa.

Meno evidenti, ma particolarmente efficaci sono poi le politiche cinesi in Africa, soprattutto in quella orientale dove si sviluppano enormi piani di sviluppo delle infrastrutture (strade, ferrovie e porti) di cui i governi locali, dittature o meno, hanno estremo bisogno. Né sono da meno le interferenze di altri attori che sul disordine africano speculano per i loro rispettivi interessi, dalla Turchia all’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi all’Iran. Insomma, in Africa l’Occidente e l’Europa sono costretti sulla difensiva e giorno dopo giorno devono riconoscere i crescenti fallimenti delle loro politiche, dando per di più l’impressione di non sapere come rimediare a questa grande ritirata. La verità è che fino ad oggi le nostre politiche nei confronti del Continente sono state contraddittorie e senza un reale interesse per il destino di quelle popolazioni. Solo di fronte alle
crisi la nostra attenzione si è risvegliata per pochi attimi. In particolare, l’Europa non ha saputo valutare l’importanza della stabilità e sicurezza del suo vicino di casa.

Ha quindi ragione padre Alex Zanotelli quando attraverso un appello sui social ha sollecitato i giornalisti e la stampa del nostro paese (ma non solo) a rompere il fronte del silenzio che circonda i fatti africani. Non sono solo i golpe a dovere suscitare le nostre preoccupazioni, ma la situazione di un continente allo sbando, dove povertà, corruzione, miseria, violazione dei diritti umani e fuga dalla fame e dai conflitti non fermeranno certamente le popolazioni di disperati sulle sponde africane del Mediterraneo. Occorre quindi una mobilitazione generale di tutti, mondo politico e semplici cittadini, per discutere seriamente quale potrà essere il ruolo dell’Italia e dell’Europa per affrontare un problema enorme e strutturale come ci ricorda Zanotelli.

È necessario lavorare assieme agli africani, alle loro società e a quel poco che resta del loro mondo politico più illuminato per affrontare assieme il calendario degli impegni economici, politici, di tutela dei diritti umani e della democrazia. Senza farsi travolgere dalle cifre dell’immigrazione, ma cercando di inquadrarla nel quadro complessivo delle difficoltà dei nostri dirimpettai di casa.

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