lo spunto:
La lettera pastorale che l’arcivescovo Lauro Tisi ha scritto alla comunità trentina nell’occasione della festività per il patrono della diocesi, San Vigilio, non solo ha ricordato questo grande santo, ma ha sottolineato la volontà della diocesi di proseguirne la testimonianza, attualissima nonostante risalga a 1600 anni fa. Vigilio, infatti, non può essere ridotto solo al folclore delle “feste” a lui simpaticamente dedicate, alla “tonca” nell’Adige e ai Ciusi e Gobj. E neppure al nuovo “monumento” a lui dedicato, il masso che ricorda il famoso “Apriti cròzo” del Bus de Vela.
Vigilio non solo ha cristianizzato nel IV secolo il Trentino, ma gli ha trasmesso la sua identità civile e territoriale, unificando i territori delle quattro tribù romane in cui era disperso. Ma al tempo stesso gli ha dato la sua vocazione di cerniera con l’Alto Adige-Südtirol e di luogo di accoglienza per viaggiatori e pellegrini di provenienza e fedi diverse, fra il mondo latino e il mondo tedesco. Anche il Concilio e la vocazione ecumenica affidata alla diocesi di Trento da Paolo VI scaturiscono da questa sorgente. Ad “aiutare” Vigilio erano venuti i tre giovani di Cappadocia (nell’attuale Turchia anatolica) poi martiri a Sanzeno, inviatigli da San Giovanni Crisostomo da Costantinopoli.
Fra le sue iniziative, infatti, Vigilio aveva aperto un ospizio per pellegrini ed è proprio questo che indirettamente l’arcivescovo Tisi ha voluto richiamare, annunciando proprio nel giorno della sua festività il fatto che la diocesi si prendeva l’impegno e la responsabilità del convento dei Cappuccini, dismesso dai frati minori, per farne appunto un centro di accoglienza, mentre al tempo stesso, in occasione della tradizionale distribuzione del “Pane di San Vigilio” a cura dei panificatori trentini, ha ribadito come il ruolo, non solo religioso, ma anche civile della Chiesa sia di essere per il mondo il lievito (per farlo crescere) e il sale, per insaporirlo e renderlo possibilmente un po’ più saggio di quanto dimostri di essere.
Lettera firmata
Essere lievito e sale nel mondo sono termini evangelici per definire l’impegno che ci si attende dai cristiani. La natura e la storia forniscono il grano e la farina, il cristianesimo lievito e sale perché l’impasto prenda forma e acquisti sapore. Il giorno di San Vigilio l’arcivescovo Tisi ha richiamato questa citazione perché proprio “questo” ha fatto Vigilio, con la sua predicazione nelle valli trentine quasi duemila anni fa, e “questo” è ciò che il mondo ancora oggi si attende dai cristiani: che i credenti nella Redenzione portata dal Cristo sentano come loro compito “laico”, al di là della devozione personale, l’impegno a fare cose buone, per fare uscire la convivenza sul pianeta da banalità e violenze che si stanno rivelando distruttive. Ma il ricordo di Vigilio ha un altro significato profondo. Se manca la farina, se la messe del grano resta abbandonata, chi porta la materia per l’impasto da far poi lievitare e insaporire? La risposta non è scontata, ma è semplice. Tocca farlo ad altri, magari “samaritani”, estranei ma capaci di rialzare il fratello caduto, di aiutarlo, tocca a “operai” che hanno la sacralità del lavoro (perché completano il disegno creativo) nelle mani, proprio come nel giorno del patrono fanno i panificatori trentini, donando alla comunità attraverso il Vescovo il “Pane di San Vigilio” nella piazza del Duomo dopo la messa, di fronte al Palazzo Pretorio, sede dell’Autorità. Non è una simbologia folkloristica, è un messaggio antico che scaturisce dalla testimonianza di Vigilio e un segno d’attualità.
È stato in questo contesto che l’Arcivescovo ha voluto annunciare l’impegno della Diocesi ad assumersi la responsabilità di gestire il convento dei Cappuccini, lasciato vuoto dai frati che per secoli gli hanno dato ruolo e presenza. Ha mostrato così di non aver paura del futuro e di non cercare scorciatoie… Non per farne un altro centro di assistenza, ma per affrontare i sentieri di una nuova pastoralità, per vedere se una presenza cristiana sa far lievitare anche la farina di una cultura postmoderna. La riapertura del convento a settembre – e i segni dell’annuncio sembrano ribadirlo – si basa sul volontariato, ma lo supera, va oltre, in una scommessa di cui la comunità trentina deve essere consapevole, ed anche orgogliosa, perché l’iniziativa assumerà una valenza anche educativa ed esistenziale, di esercizio non solo alla riflessione e allo studio, ma alla manualità, e soprattutto ad un incontro intergenerazionale di esperienze, fra giovani e anziani. Il convento, infatti, manterrà il suo servizio di volontariato, tanto apprezzato, di mensa quotidiana per gli affamati, i senza tetto, le famiglie in difficoltà, ma proporrà anche altre funzioni. Verrà infatti “abitato” da un diacono con la sua famiglia, coadiuvato da un gruppo di suore e questo sembra già anticipare un felice incontro fra una pastoralità della famiglia e una pastoralità femminile. Non mancano poi al convento gli spazi di studio, approfondimento e recupero per giovani e ragazzi, come non mancano i tempi e i modi per preziose manualità e apprendimenti nell’orto. Una parte della residenza potrebbe essere destinata a studentato (“college” non solo dormitorio) universitario, evitando la speculazione immobiliare che rischia di offuscare tutta la positiva immagine dell’ateneo trentino, come sicuramente potranno essere ricavati spazi per gli anziani autosufficienti, che potranno “dare una mano” nella gestione e nell’incontro fra generazioni. Una scommessa da cogliere in tutte le sue potenzialità civili. Una pastoralità cristiana che non si preoccupa solo di insaporire le pagnotte, ma anche di portare la farina per impastarle e metterle nel forno.
Buongiorno, sono Alda e vorrei esprimere la mia approvazione per l’uso diverso del convento dei Cappuccini. La possibilità che giovani e anziani si incontrino e dialoghino insieme. Gli anziani come me, si sentiranno più giovani e meno soli. I giovani acquisiscono esperienze e consigli, se lo vorranno, dagli anziani. Io ho manualità, ma non per vangare l’orto. A questo ci penseranno i giovani. Posso però servire a tavola. Non aver paura delle contaminazioni, come dice il nostro vescovo Lauro è la farina e il sale della vita. Cordiali saluti. Alda Silvestrin