Ricevere una lettera personale è sempre un grande regalo: qualcuno si è preso del tempo per esprimere quanto gli è caro e ha deciso di condividerlo proprio con te; questo ti fa sentire che ci sei, che sei importante e che qualcun altro crede in te. Ma quella intitolata “Lievito e sale” è una Lettera speciale, arrivata insieme a Vita Trentina e firmata dal nostro caro Arcivescovo. È rivolta “alla comunità”, ma in primo luogo a ciascuno di noi. Mentre leggevo i brevi capitoli sentivo crescere un senso di profonda gratitudine!
Scrive don Lauro: “Le parole sono potenzialmente distruttive o edificanti. Lo evidenzia bene papa Francesco quando sottolinea – come nell’ultimo messaggio sulle comunicazioni sociali – l’importanza di “parlare con il cuore”, ovvero di ricercare e dire la verità, ma di farlo con carità”. Un primo grazie va quindi a queste parole che mi giungono vere, profonde e attente alla nostra realtà, ma soprattutto sono parole cariche di speranza, che si annunciano come quelle “parole che curano”, quelle di cui non si può più fare a meno!
Mi ha colpito molto l’incipit concreto della Lettera, concretissimo: Africa, storia di Helen, approdo e accoglienza della comunità di Mori. “Lei ode parole che scaldano il cuore e ti cambiano la vita o, semplicemente, te ne restituiscono il senso”.
Commenta don Lauro a proposito della catecumena nigeriana, ora già in servizio come aiuto-catechista: ”Helen è per tutti noi un modello straordinario di coraggio e forza vitale. Nella difficoltà ha saputo riemergere e ritessere la tela della propria vita, riconsegnandole trame di dignità. Lo deve alla forza di relazioni benefiche, fatte di gesti e voci. Ma più di tutto al dono straordinario delle sorprendenti parole del Vangelo: per Helen un balsamo inatteso, capace di curare le ferite più profonde”. Le parole allora si configurano in un volto, prendono vita, vengono ascoltate, si tramutano in gesti, voci, relazioni.
Il secondo grazie va dunque all’accorato e urgente invito a “Fermarsi, sollevare la testa e guardarci attorno. Intercettare altri sguardi e, insieme, cogliere gli occhi più affaticati, tentare di rialzare le palpebre appesantite. Facciamocene carico insieme, non deleghiamo questo compito straordinariamente umano nel restituire luce agli sguardi. Perché il nostro sguardo vive degli sguardi altrui”. L’altro, dunque, sono io! Nell’incontro con l’altro, come ci ricorda Lèvinas vi è l’esperienza fondamentale del nostro essere e del nostro vivere. L’altro dà senso a me! Non possiamo prescindere da questa realtà.
Ecco allora il mio terzo e profondo grazie per aver messo anche l’accento sull’essere persone credibili, cristiani credibili! Chiaro è dunque l’invito ad essere comunità-laboratorio di dialogo e di inclusione. Essere una Chiesa capace di porsi in ascolto della vita e soprattutto di far parlare il reale, il vissuto. “Diventiamo empatici nei confronti della storia contemporanea e dei suoi abitanti – scrive don Lauro -. Abbiamo accanto tante belle persone: meritano la nostra stima e il nostro abbraccio! Una Chiesa compromessa con l’umano, come ci ha mostrato il Nazareno”.
Sono parole che percepisco come dettate dal cuore e – aggiungo – anche cariche di fermento e di concretezza. Una traccia evidente su cui muovere insieme i nostri passi, a partire anche dal nuovo servizio di carità nell’ampio convento di via della Cervara. “Dalla collina della città – auspica don Lauro, a proposito di questo progetto – vorrei si riverberasse una luce di positività e di speranza”.
Non solo volti da incontrare, dunque. Non solo parole che curano, ma anche luoghi aperti, di Vangelo vissuto, dove trovare ristoro: questa è la Chiesa a cui sento di appartenere!
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