LO SPUNTO:
È vero che i linguaggi mutano nei tempi, si sviluppano e si modificano. Alcuni muoiono e con la loro scomparsa l’intera società subisce una perdita di contenuti e di pensiero. Ed è vero che in una società complessa le nostre attività richiedono di conoscere e usare più linguaggi, più lingue. Ma oggi assistiamo a un fenomeno totalmente nuovo: per la prima volta nella storia “qualcosa” di diverso da un essere umano può intervenire su un linguaggio, manipolarlo, e questo sia per quanto riguarda il linguaggio naturale che i linguaggi specialistici e tecnici, in codice. È ciò che viene chiamato LLM, “Large Language Model”, modello di linguaggio allargato. Così sono i linguaggi che derivano dall’IA, dall’intelligenza artificiale. – Rudi Bogni (Londra)
La possibilità di manipolare i linguaggi è sempre esistita, ma finora era stata appannaggio di cialtroni e imbroglioni. Proprio per rivelarli sono stati elaborati, nei secoli, numerosi strumenti di critica e controllo dei testi. A ben guardare scuola e cultura servono soprattutto a questo, a smascherare i linguaggi manipolati. Ma ciò che accade con questa “prima volta” nella storia, che sia una macchina computerizzata, una serie di algoritmi e processi informatici per loro natura asettici e neutrali a compiere la manipolazione, va ben oltre l’imbroglio e costituisce una minaccia con implicazioni vaste, potenzialmente pericolose non solo per la cultura e la verità, ma per lo sviluppo umano nel suo complesso. Interferisce nel rapporto fra popoli, è suscettibile di stravolgere, assieme alla tanto decantata “democracy”, la stessa convivenza, le relazioni fra gli stati, lo sviluppo dei paesi più svantaggiati.
È quanto sostiene, nel suo ultimo articolo sulla prestigiosa rivista inglese “Willmott Magazine” l’economista e uomo di finanza Rudi Bogni, trentino radicato a Londra e a Basilea, avvertendo che i problemi aperti dai linguaggi artificiali riguardano tutti da vicino, con urgenza, non solo quanti si occupano di scrittura, i giornalisti, ma gli uomini politici con i loro discorsi, i ricercatori con i “paper” scientifici, gli economisti. “Sono problemi di cui dobbiamo farci carico – scrive Bogni – assieme alle altre due emergenze potenzialmente distruttive del pianeta, i mutamenti climatici e la minaccia di un conflitto nucleare. Sono temi che non possiamo trasferire alle prossime generazioni”.
Il treno è già partito, ed è impensabile pensare di poterlo fermare in corsa con leggi e regolamenti, occorrono piuttosto contromisure sul terreno stesso del problema, posto che una “rivoluzione basata sui linguaggi e promossa magari dai gruppi di pressione che questi nuovi linguaggi artificiali preparano e incentivano può avere effetti ancora più dirompenti dell’attuale rivoluzione digitale che ormai tutti ci riguarda”.
Rudi Bogni non dà soluzioni, ma enumera i principali problemi che si aprono, spesso trascurati dai numerosi analisti che finora li hanno affrontati. A chi legge verrebbe da esclamare “…Ma allora torniamo ai dialetti …”! Questo però è un discorso che prevede una riflessione successiva. Importante è invece soffermarsi sui pericoli nascosti che la manipolazione del linguaggio con gli algoritmi dell’intelligenza artificiale, tratti da banche dati di cui spesso non si conosce l’origine e il valore, comporta.
Tre sono le criticità che Rudi Bogni rileva. La prima riguarda la riservatezza dei testi, se chi li manipola o li prende a base del suo algoritmo lascia tracce riconoscibili oppure resta anonimo.
La seconda è sapere se vi sono imprecisioni o distorsioni, magari inavvertite, nei data base usati come riferimenti per l’assemblamento dei nuovi linguaggi, soprattutto di quelli specializzati sui temi della finanza, in campo militare, o nelle scienze fisiche e mediche … Un errore nei testi di riferimento iniziali, da cui i nuovi linguaggi artificiali traggono i loro elementi costitutivi (“imparano”!), si rifletterebbe e prolungherebbe, infatti, ad anelli che si ripiegano e tornano su se stessi, in tutte le fasi successive di ogni discorso, confermando e rafforzando gli equivoci iniziali. È facile immaginare le falsificazioni possibili, in politica ad esempio, nell’analisi del voto dopo una elezione.
La terza criticità è forse la più nascosta e subdola, ma non meno irrilevante e deriva dal fatto che nel nuovo linguaggio artificiale “allargato” l’inglese la farà ancor più da padrone anche rispetto al ruolo dominante che già oggi ricopre. Diverrà di fatto una posizione monopolistica, emarginando a livello di rapporti economici, di studio, di scuole e università i linguaggi considerati (a torto) “minori” ridotti quasi alla clandestinità, come lo sono le “lingue tagliate” delle minoranze che le dittature e i sistemi autoritari vogliono sempre soggiogare, cancellare (come fece il fascismo in Alto Adige).
Solo che in questi casi la minaccia riguarderebbe anche lingue importanti, con una storia e una letteratura, come il tedesco, l’italiano, il francese, lingue che non comunicano soltanto, ma esprimono un costume, una cultura, una visione del mondo. Tutto appiattito ed annullato.
Questa perdita secca di linguaggi che sono ancor oggi i pilastri portanti della civiltà produrrà una perdita secca nelle relazioni interpersonali, nel significato del vivere, ma anche (e Bogni nel suo articolo ne parla in modo specifico) nei rapporti di sviluppo economico a livello planetario, accentuando ancor più il divario con i paesi svantaggiati (Africa, Asia) e ritardando ancora di più la loro promozione.
Pochi oligarchi avranno il monopolio del linguaggio “allargato”, come già ora hanno il monopolio del denaro. Una vera colonizzazione. Le prime avvisaglie già si avvertono. Lo stesso Bogni ha potuto constatare come in un club finanziario londinese la maggior parte dei soci che avevano sperimentato il “linguaggio allargato” avessero scelto la lingua inglese, rispetto al tedesco, che pur era la loro lingua d’uso comune, perché l’ “artificiale” in inglese era “testato” su un maggior numero di esempi, su un più esteso data-base.
È facile, a questo punto, fare pronostici per il futuro, ma è certo che allargare il già eccessivo divario fra popoli, culture, economie, non porterà benessere, ma accentuerà il disagio sociale, le tensioni e le migrazioni, la conflittualità sempre più diffusa che sta scuotendo il pianeta.
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