Ci troviamo su questa nostra benedetta terra per un tempo lungo un sospiro. Esso è però per noi quanto di più prezioso; l’orizzonte della nostra vita si dipana lungo questo filo sottile. E quanto delicato possa essere, ci si sta manifestando da qualche tempo davanti agli occhi.
Abbiamo pensato di poter disporre in maniera illimitata del giardino generato dalla Parola di Dio, dimenticando il primo grande comandamento, quello della cura e della custodia.
La Terra, nostra sorella e madre, “protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei” (Laudato si’, 2). Geme e soffre le doglie del parto: nella deforestazione, nell’inquinamento, nel consumo di suolo, nella perdita di biodiversità.
“Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”: così ci risvegliava papa Francesco nel momento straordinario di preghiera, il 27 marzo 2020, quando la tempesta del Covid colpiva forte.
Il 24 maggio 2023 ha compiuto otto anni la sua prima Enciclica, Laudato si’, sulla cura della casa comune. Giungeva a poco tempo dalla Cop 21 e dai famosi Accordi di Parigi, quelli degli obiettivi dell’Agenda 2030. Ancora di là da raggiungere, sono rimasti in gran parte sulla carta, vittime sacrificali di un mondo che non ne vuole sapere di decidersi per una conversione ecologica integrale. Anche la comunità scientifica, d’altra parte, non cessa la sua opera di annuncio e divulgazione, evocando scenari terribili, di cui abbiamo spesso, troppo spesso, tragici anticipazioni, come la siccità invernale e la recente alluvione che ha colpito alcune zone d’Italia.
Non ci resta che disperare? Certo è che abitiamo un tempo critico: come quello di Noè. Oramai non è più stagione di custodia e cura del giardino. Si tratta di salvarlo, e con lui noi stessi. Si tratta di rimettere al centro del giardino salvato l’albero della conoscenza del bene e del male; ovvero riconoscersi come creature che devono misurare e misurarsi con il limite, troppe volte inteso come ostacolo da abbattere, troppo poche accolto come cifra del nostro essere e del nostro avere.
Come comunità cristiana (a Gardolo una Veglia diocesana il 25 maggio), siamo chiamati a renderci testimoni della speranza che ci sia sempre una via d’uscita, che si possano cambiare realmente le cose, anche se siamo vicini al punto di non ritorno.
Come Noé, siamo chiamati a iniziare ora l’opera di salvezza nella declinazione dell’amore verso tutto il creato, consapevoli, però, che il compimento finale non ci appartiene, ma che tutto è nelle mani di Dio.
E allora, buon compleanno, Laudato si’.
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