Con gli strumenti utilizzati dalla nonna e dalla mamma, porta avanti una tradizione di famiglia lavorando la lana delle pecore della Val di Pejo, a chilometro zero. Scopriamo questo nuovo mestiere assieme ai ragazzi e alle ragazze della classe 5A dell’Istituto Comprensivo Trento4.
Viola Framba, qual è il suo mestiere?
Sono una magliaia e creo capi di abbigliamento. Il mio obiettivo è che le persone li indossino e che possano tenerle al caldo.
Come è nata la sua passione?
Mia nonna Gianna negli anni Sessanta, ha aperto un’azienda e poi ha imparato l’arte anche mia mamma Susanna, che l’ha sempre fatto come hobby. Io, fino a qualche anno fa, credevo di non avere abbastanza pazienza per fare quei punti che a volte sono davvero piccoli, mi sembrava qualcosa di troppo difficile, troppo impegnativo.
Ma poi?
Osservando mia nonna che anche dopo la pensione ha continuato a lavorare nel suo laboratorio, un giorno ho deciso di darle una mano, nel mio tempo libero, e ho scoperto che quella pazienza la avevo. Da lì è partito tutto e tre mesi fa ho finalmente aperto la mia azienda.
Come si chiama e quante persone ci lavorano?
Si chiama “La Lana Lunatica”, al momento siamo io e mia mamma e ogni tanto anche mio fratello ci dà una mano. Il laboratorio si trova a Vermiglio, è molto piccolo e… molto pieno!
Che materiali usa per realizzare i suoi capi?
Principalmente lana delle pecore della valle di Pejo: una filiera che ha un grande valore perché da una parte le pecore restano in valle e mantengono il territorio – il gregge principale è di Elena Ravelli e ne conta un’ottantina, poi d’estate ne salgono in alpeggio un altro centinaio – dall’altra ho la materia prima a chilometro zero, cento per cento naturale.
Quanta lana produce una pecora?
Ogni pecora fa circa un chilo di lana buona all’anno.
E quanta ne serve per fare un maglione?
Con mezzo chilo viene fuori un maglione da adulto o due da donna.
Ma la lana non pizzica?
Allora, un amico un giorno mi ha detto che la lana non pizzica ma… stuzzica! Le cose morbide a cui siamo abituati sono anche naturali, pensiamo alla lana Merino, filata da pecore che però vivono in Nuova Zelanda e Australia. La lana delle pecore di Pejo è un po’ più rustica, dà un po’ di pizzicore al quale però la maggior parte delle persone si abitua subito.
Lei che macchinari usa?
Lavoro sulle macchine degli anni Sessanta che hanno sempre usato mia nonna e mia mamma e che sono sempre state nel laboratorio. Sono perfettamente funzionanti e necessitano di poche manutenzioni; il problema adesso sono i pezzi di ricambio, perché ormai sul mercato trovano spazio soltanto quelle automatiche, che funzionano con software e tutta la programmazione è fatta a computer anziché a mano.
Quanto impiega per fare un maglione?
Sei ore circa.
Riesce a fare anche prodotti personalizzati?
Sì, vengono fatti tutti su ordine e personalizzati: colore, forma, apertura, ricami.
Fa solo maglioni?
No, perché lavorando su ordinazione ci commissionano un po’ di tutto. Dalle panciere ai berretti, dalle sciarpe ai calzini, insomma tutto quello che si può fare con la lana. Certamente i maglioni sono quelli più richiesti, ma facciamo anche giacche. Abbiamo iniziato a fare anche canottiere e maglie a maniche corte, in lino.
Come fa a colorare i suoi capi?
Una bella domanda: infatti le pecore che facciamo filare sono tutte bianche. A volte serve fare un trattamento preparatorio che si chiama mordenzatura, mettendo il capo in ammollo con un minerale, l’allume di rocca, che prepara la fibra ad assorbire più colore. Ma non è sempre necessario, perché alcuni materiali tintori sono davvero potenti. Prepariamo poi un pentolone di colore con l’acqua calda dove la lana viene immersa. Usiamo tutti materiali naturali e sostenibili del nostro territorio che, oltre che il colore, danno poi al prodotto anche una sua particolare profumazione.
Può farci qualche esempio?
Ad esempio la buccia di cipolla, il lichene, la bacca del sambuco, la corteccia di betulla.
Quello della magliaia è un mestiere tradizionale?
Certamente, una volta i negozi di vestiti non esistevano e le persone o si facevano un maglione in casa o si rivolgevano alla sarta o alla magliaia. Tante donne sapevano lavorare ai ferri, poi tra l’Ottocento e il Novecento sono arrivati i macchinari ed è diventato un qualcosa di più specializzato. Negli anni ‘70 e ‘80 in tantissime case c’era la macchina da maglieria.
Come vende i suoi prodotti?
Con un piccolo negozio online su una piattaforma dedicata ai prodotti fatti a mano, ma facciamo anche dei mercatini in giro per il Trentino o fiere del settore. Per fine anno voglio aprire anche un sito internet.
Quanto guadagna?
Qualcuno di voi sorride ma anche questa è una domanda interessante. Vi rispondo però che non lo so ancora, perché la mia azienda è aperta da poco, è ancora piccola e al momento ci conoscono con il passaparola in val di Sole ma anche in Trentino grazie al nostro account Instagram. Ma pian piano, stiamo portando in giro le nostre cose.
È un lavoro che le permette di avere tanto tempo libero?
Cerco di prendermene abbastanza, da non lavorare troppo ma nemmeno troppo poco. Sono passata da un lavoro dipendente, dove avevo degli orari fissi ad un lavoro autonomo dove mi devo organizzare io, ora anche come mamma: cerco di fare cinque sei ore al giorno almeno, però non sempre ce la faccio e recupero quando posso, la sera o il sabato.
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