Abbiamo avuto l’ennesimo test elettorale e l’ennesima conferma di una situazione che rimane in una fase di traballante stabilizzazione. Non proprio una buona notizia, perché dentro c’è la conferma che la partecipazione elettorale si ferma a poco più della metà degli aventi diritto: segnale che una parte della popolazione è convinta che la politica, qualunque sia il colore che dominerà, non sia in grado di cambiare quello che interessa alla gente. Si dovrebbe fare qualcosa per recuperare la partecipazione, evitando la leggenda consolatoria, presente soprattutto a sinistra, che si tratti di elettori che non votano perché i partiti non sono abbastanza “radicali”. Poi c’è da considerare che nelle elezioni comunali pesano molto la qualità dei candidati, sindaci ma anche consiglieri, e la qualità dell’amministrazione precedente. Molto meno le questioni di bandierina e schieramento nazionale, che ormai fanno poca presa su elettorati che si sentono liberi di scegliere (e questa è una buona cosa).
Dunque sarà bene che la politica nazionale lasci perdere le fantasie su presunti orientamenti profondi del paese e si occupi di affrontare i problemi che abbiamo davanti. Certo quelli fanno poca “scena”, a parte drammatizzarli con occasionali fiammate di indignazione che poi lasciano il tempo che trovano. Poca rilevanza hanno anche le intemerate sulla lottizzazione della RAI, uno stanco rito che si ripete da decenni e che riguarda qualche star che massimizza solo la monumentalizzazione di qualche personaggio che si presenta come conculcato nel suo diritto di esprimersi, mentre tranquillamente emigra a continuare a fare il suo spettacolo in un’altra piattaforma, assolutamente raggiungibile da tutti quelli interessati. Ovviamente la sceneggiata serve perché con la scusa di difendere quello “cacciato” che è effettivamente una star si tutela la permanenza intoccabile di altri che star non sono.
La situazione economica non è negativa, anzi l’Italia cresce in quanto a PIL un po’ più di altri paesi importanti, ma restiamo condizionati da un debito enorme che non riusciamo ad intaccare e siamo minacciati dal rischio di fallire nell’impresa di utilizzare bene i fondi del Recovery europeo. Il problema riguarda soprattutto il sistema dei “servizi”: da quelli generali (trasporti, soprattutto sistema ferroviario, ma anche rete idrica), a quelli più specifici come la sanità e l’istruzione. Qui di politiche capaci di farsi carico dei nodi se ne vedono poche, sia fra quelle messe in atto dal governo, sia fra quelle che dovrebbe prospettare una opposizione degna di questo nome.
A nostro modesto avviso il problema è che prendere questi tori per le corna implica una seria discussione sui pasticci (eufemismo) che si sono fatti nei decenni passati. Prendete la sanità: si è distrutto il sistema dell’assistenza di base, che presenta molti problemi (medici ridotti a burocrati senza strutture di supporto, numeri eccessivi di malati da seguire, quasi azzeramento della cura domiciliare), si sono burocratizzate le grandi strutture ospedaliere, si è creato un sistema confuso di intrecci fra pubblico e privato. Rimettere ordine in questo territorio, che fra il resto è dominio quasi riservato delle regioni, è un’impresa titanica che non si sa come affrontare. La situazione è così confusa che lo scaricabarile chiamando sempre in causa le responsabilità di qualcun altro è un gioco da ragazzi.
Sul complesso dei problemi domina però la questione delle risorse finanziarie su cui si può far conto. Si tratterebbe di riordinare insieme la spesa pubblica e il sistema fiscale, cioè le uscite e le entrate. Il tema è conosciutissimo, se ne discute da anni (adesso non se ne parla quasi più, ma ricordate la saga della “spending review”?), ma non si fanno passi avanti. La faccenda è sempre quella; ciascuno vuole tagliare le spese “inutili” dell’avversario, ma non se ne fa nulla per il rischio che poi si debbano tagliare anche le sue; ciascuno sogna bacchette magiche che riaprano il flusso delle entrate (lotta all’evasione, flat tax, patrimoniali varie), ma al dunque si constata che tutto è un castello di carte, se ne togli una vien giù tutto, sicché meglio lasciar le cose più o meno come stanno. Si riuscirà ad imporre a tutti, governo e opposizioni, il famoso giro di boa? Quasi tutti pensano che si potrà fare ben poco finché non arriva il test delle elezioni europee. Ma di test in test rischiamo solo il testa-coda.
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