La crisi delle vocazioni (il 28 % di seminaristi in meno dal 2010 al 2020, dice l’ultimo dato) non riguarda solo la Chiesa. Riemergono in questi ultimi anni segnali di sfilacciamento e di disgregazione anche dentro i cosiddetti “corpi intermedi” che nella nostra terra possono essere ancora decisivi per reggere l’Autonomia speciale. Anticipiamo questa riflessione, a pochi mesi dal voto provinciale: senza corpi intermedi vivaci ed esigenti la gestione politica rimane “affare” di pochi eletti e la selezione di candidati “all’altezza” un’operazione estemporanea ed effimera.
Prendiamo la realtà radicata e popolare degli alpini, visto che siamo alla vigilia dell’Adunata Nazionale di Udine: saranno in 7 mila dalla sezione di Trento in Friuli, a ricordare anche il grande “presidente del terremoto” Franco Bertagnolli, eppure da tempo nei Gruppi di valle c’è preoccupazione per l’insufficiente ricambio generazionale (il 60% dei soci ha oltre 60 anni), senza il quale perdono via via linfa vitale anche le iniziative più motivate. Per farvi fronte il riconfermato presidente trentino Paolo Frizzi ha annunciato a fine estate un inedito campo scuola nazionale per ragazzi dai 16 ai 25 anni “per avvicinare i giovani a quel modello esperienziale provato dai loro padri e nonni”. Una priorità che attraversa altre sigle del volontariato culturale (dai cori ai dirigenti sportivi), vedi le ASUC nei progetti di gestione del bene comune o i Circoli Anziani, come ha ribadito il presidente Tullio Cova nell’ultimo coordinamento.
Non si può non accennare anche alla fiacca di molte realtà cooperative, pure sociali, nell’alimentare lo spirito dei fondatori delle loro sigle. E il calo di tensione si avverte nei soci delle Casse Rurali; si nota che il fenomeno delle megafusioni porta con sè il rischio di perdere in capillarità di presenza: meno amministratori e meno sportelli possono determinare anche più delega, deficit di assunzione di responsabilità sul proprio territorio.
In un’Autonomia speciale, più il tessuto sociale s’impoverisce nei suoi alveoli vitali di partecipazione, più diventa pervasiva la diffusione dell’ente pubblico. Che però finisce per anestetizzare le disponibilità a forme di autogoverno e di intraprendenza e a concentrare il confronto fra i vertici dei partiti, più nelle dichiarazioni alla stampa che in confronti assemblerari.
È quella che Luciano Azzolini ha indicato recentemente come “verticalizzazione del potere” prendendo spunto dal magistero del suo docente Aldo Moro, ucciso proprio 45 anni fa, il quale fra l’altro diceva di credere molto poco in formule elettorali alternative “che diventano false soluzioni di reali problemi politici”. “Occorre piuttosto ripartire dal basso – ha esortato con passione Azzolini in un incontro su Moro promosso dal nostro settimanale – ridando maggiori spazi di autonomia a tutti i livelli, semplificando l’apparato burocratico; il potere istituzionale da solo non respira bene e rischia l’autoreferenzialità”.
Per il Trentino – che in questi mesi si vede più distante dall’Alto Adige anche per il “distinguo” sulla gestione degli orsi – risulta decisivo in questa difficile fase preelettorale riflettere sull’esigenza di irrobustire e riossigenare i corpi intermedi. È un’esigenza trasversale, dall’estrema destra all’estrema sinistra. Sarebbe un alibi dare ancora e sempre la colpa alla pandemia (anche se è vero che l’isolamento ha istillato riflusso e stanchezza), rinnegando le promesse di cambiamento di stili di vita e di partecipazione che ci eravamo reciprocamente fatti nei giorni della clausura con la riscoperta dell’essenziale. Dentro il quale c’è anche il “prendersi cura” della propria terra e del prossimo più prossimo.
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