Il Cristo crocifisso che salva il mondo con lo scandalo della debolezza più estrema è stato spesso usato dai cristiani come strumento di dominio violento. Come è accaduto con la conquista coloniale delle Americhe, dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania. Popoli indigeni sono stati soggiogati e sterminati in nome della civilizzazione e della cristianizzazione. La Chiesa non cessa di vergognarsene e di chiedere perdono. Grazie soprattutto alla spinta del Concilio Vaticano II e alle domande inderogabili che vengono dai popoli che furono colpiti da quei crimini. E che continuano a patirne le terribili conseguenze. Le chiese saranno anche state piene una volta, quando eravamo in regime di cristianità, quando “tutti” si dicevano cristiani. Ma la cristianità era anche piena di tradimenti del Vangelo. Era in se stessa, diceva il grande filosofo cristiano Kierkegaard, un tradimento: “La cristianità è una congiura contro il cristianesimo del Nuovo Testamento”. Contro lo scandalo del Cristo crocifisso.
Lo scorso anno, a luglio, papa Francesco è stato finalmente in Canada. Finalmente, perché i popoli indigeni e lo stesso governo canadese chiedevano da tempo al pontefice una visita riparatrice. Per i crimini compiuti, con la diretta partecipazione della Chiesa, contro i nativi canadesi. In particolare con il sistema delle scuole residenziali, governative ma gestite in gran parte dalla Chiesa cattolica, dove venivano internati e “rieducati” i bambini tolti a forza, per legge, alle famiglie delle popolazioni indigene. Scuole create in Canada negli ultimi decenni dell’800 sulla falsariga di quelle create poco prima negli Stati Uniti per i loro “indiani”. L’ultima di queste scuole fu chiusa in Canada trent’anni fa.
Si parla di 130 istituti dove sono passati 150 mila bambini. Strappati alle loro famiglie “per uccidere l’indiano che era in loro”, convertiti a forza al cristianesimo, privati dei loro nomi di origine, impediti di parlare la loro lingua, considerata “profana e oscena”, costretti a subire punizioni e abusi fisici e psicologici aberranti, talvolta sottoposti a lavoro forzato, esposti senza difese alla tubercolosi che li falcidiava, sani e malati messi insieme. In queste condizioni i bambini che morivano si contavano a migliaia. Nel giugno del 2021, l’anno precedente la visita di papa Francesco, erano stati scoperti in due province canadesi i resti di 930 bambini sepolti nelle adiacenze di due ex istituti dove erano stati internati. Il governo canadese proibiva di restituire alle famiglie le spoglie dei bambini che morivano. Un orrore senza fine che sconvolse l’opinione pubblica mondiale. Ma questo orrore era tutt’altro che sconosciuto.
Già nel 1907 il dottor Peter Bryce, direttore sanitario del Dipartimento canadese degli Affari indiani aveva visitato 15 di queste scuole e steso un rapporto sconvolgente dove denunciava la realtà disumana e l’altissima mortalità che vi aveva scoperto. Il rapporto, nascosto dalle autorità, fu pubblicato da Bryce nel 1922 dopo il suo licenziamento sotto il titolo eloquente di “Storia di un crimine nazionale”. Altri studi e ricerche seguirono. Tutto era noto da tempo. Cento anni dopo papa Francesco arriva in Canada ed esprime “dolore e vergogna” per quei crimini e chiede scusa. Parole molto attese. Il governo canadese aveva già chiesto scusa e avviato iniziative di risarcimento. Ma le popolazioni indigene chiesero a papa Francesco altre iniziative, tra cui la revoca della cosiddetta “dottrina della scoperta”. Una specie di diritto al possesso di terre e beni, riconosciuto in passato in alcuni Stati, ai coloni che se ne impossessavano e che, si sosteneva, era basato su alcuni documenti papali, come le bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493).
Erano i tempi in cui il Papa dava a se stesso il potere di dare in possesso pezzi di mondo, coi popoli che lo abitavano, a chi credeva. Con le prime due bolle, papa Niccolò V concedeva al re del Portogallo il diritto di conquistare e possedere “in perpetuo” le terre e di ridurre in schiavitù le popolazioni “pagane” della costa africana atlantica. Con la terza bolla, l’Inter Caetera, papa Alessandro VI tracciava una linea da Nord a Sud delle Americhe, distante 100 leghe a ovest di Capo Verde, e stabiliva che le terre e le popolazioni a occidente della linea appartenevano al Portogallo, quelle ad oriente alla Spagna. La colonizzazione con le sue brutalità ebbe questa ratifica e spinta da parte della Santa Sede. Che ora ripudia, anche formalmente, quella sciagurata “dottrina” e le bolle papali sulle quali fu costruita.
L’ha fatto il 30 marzo scorso con la “Nota congiunta sulla ‘Dottrina della scoperta’ dei Dicasteri per la cultura e l’educazione e per il Servizio dello sviluppo umano integrale”. Nella “Nota” si afferma che “il rispetto per i fatti della storia richiede il riconoscimento della debolezza umana e dei fallimenti dei discepoli di Cristo in ogni generazione. Molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro le popolazioni indigene per i quali i Papi recenti hanno chiesto perdono in numerose occasioni”. La Chiesa, si afferma poi, “ripudia” la “dottrina della scoperta”. E riconosce “i diritti e i valori culturali di tutti gli individui e i popoli”. Un passo in avanti di pentimento e di conversione. Le chiese saranno anche state piene una volta. Ma il cristianesimo del Vangelo non è dietro di noi, come abbiamo visto. Non è nel passato. È davanti a noi.
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