Non saranno più tempi per gli slogan del populismo

Resti del barcone naufragato a Crotone Foto © Ansa/Sir

Anche se la vittoria di Elly Schlein alle primarie per la segreteria del PD potrebbe indurre a pensare che c’è campo libero per il populismo nutrito dai vari predicatori politici che affollano i media, stiamo andando verso tempi duri dove pian piano fra la gente si perde la voglia di inseguire illusioni.

La recente tragedia della migrazione in Calabria riaccende il faro sul tema dell’arrivo di movimenti di popolazione che non sarà facile regolamentare. Quel dramma ci ha fatto vedere una filiera che si era sottovalutata avendo concentrato le nostre attenzioni sull’Africa mediterranea: è la pressione che arriva dall’Asia, quella mediorientale (Siria, adesso dopo il terremoto forse anche Turchia), sia quella più lontana (Pakistan, Afghanistan).

Sommandosi le due vie si pongono problemi enormi all’Europa che da un lato essendo in crisi demografica ha bisogno di braccia, ma dall’altro non sembra in grado di selezionare e instradare ciò che le serve finendo travolta dalla presenza di una umanità sradicata che si muove senza circuiti di integrazione. Poi c’è la vicenda della guerra in Ucraina. Putin si incaponisce in una guerra di distruzione per giustificare la quale accende una retorica molto pericolosa: quella che accusa l’Occidente di voler distruggere la Russia, mentre denuncia ciò che lui descrive come un tramonto di civiltà basato sulla corruzione dei costumi.

Sono discorsi incendiari che ripercorrono alcuni sentieri già calcati a suo tempo da Hitler, ma anche in alcune circostanze ripresi dal populismo sovietico (evocare lo spettro dell’apocalisse atomica fa parte di questo gioco perverso, ma neppure questa è una novità). Così si obbliga l’Europa ad impegnarsi in modo sempre più massiccio nella guerra ucraina che diventa l’unico modo per fermare il sogno farneticante dell’autocrate di Mosca: lasciargli spazio significa non solo condannare l’Ucraina alla distruzione definitiva (e non è né poco, né banale), ma anche incitarlo a continuare sulla cattiva strada. Infine c’è il problema niente affatto risolto della strategia per far uscire l’Italia dalla palude delle sue molte debolezze.

In un contesto come il nostro dove si è lasciata crescere una giungla di lobby e tribù si sta rivelando molto difficile provare a mettere ordine. La spiegazione di questo stato di cose è molto semplice: quella giungla passa dentro quasi tutti i partiti politici. La conseguenza è che non si riesce a toccare che ben poco: esemplari al riguardo sia la vicenda del super bonus che quella dei balneari, dove i privilegi e la difesa di quel che si è portato a casa in tempi fortunati trova sostenitori tanto a destra, quanto a sinistra (e molti, da una parte e dall’altra, semplicemente tacciono per non compromettersi). E tacciamo sulle difficoltà già peraltro ricordate in precedenti articoli riguardo alla prosecuzione del PNRR.

In questo contesto la politica è sempre più una questione del giorno per giorno, in cui non si riescono a fare ragionamenti di prospettiva. L’opinione pubblica è molto condizionata da un contesto di discorsi, anzi di “narrazioni” come adesso si usa dire, che rendono difficile un serio confronto sulle condizioni non facili in cui dobbiamo muoverci. Si continua a credere che la politica estera si possa gestire sulla base delle buone intenzioni, così come a pensare che i ritardi storici che abbiamo accumulato possano essere superati con qualche atto di buona volontà. Paradossalmente grazie a questa scarsa capacità di incidere da parte dell’opinione pubblica cresce lo spazio di discrezionalità che viene lasciato al potere pubblico.

Quanto più si chiede l’impossibile e l’irrealizzabile, tanto più si lasciano liberi i decisori pubblici di fare non quel che possono, ma quel che fa a loro comodo. Intendiamoci: non è sempre così, ma anche nei più seri fra loro cresce la tentazione di fare come credono, tanto poi la gente si lamenterà egualmente. Figuratevi come funziona questo meccanismo nei meno seri, per non dire in quelli che non sanno neppure cosa sia la serietà. Si sta generando un corto circuito che sta bruciando le risorse del nostro paese e che mina seriamente la sua credibilità.

Il mondo ci guarda molto più di quanto non facesse anche solo qualche anno fa, perché adesso che il quadro politico è tornato a coinvolgere gioco forza tutti gli attori in campo si è ripreso a capire che una componente debole e confusa mette a rischio tutto il sistema. Non certo condizioni ottimali per l’Italia di oggi.

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