Più ancora che di “periferie esistenziali” i missionari trentini vorrebbero parlare di “coloro che soffrono” o di “scartati”. Le ritengono espressioni più inclusive, pensando anche alle realtà particolare dei migranti, dei carcerati (ai quali alcuni di loro si dedicano) e anche delle persone LGBTQ+, rispetto alle quali si comincia a registrare (almeno in Brasile) qualche iniziativa di “pastorale delle diversità”, tutta ancora peraltro da sviluppare.
Dal mandato di Gesù ai 72 discepoli di andare “senza denaro e senza roba” i missionari ricavano l’invito a non legarsi al potere e alla ricchezza. “Talvolta siamo convinti che se abbiamo soldi e voce in capitolo (per esempio con i politici) allora possiamo aiutare, col rischio però di creare dipendenza. Facciamo fatica a pensare di poterci “arricchire” rimanendo con i poveri”.
Il fenomeno “povertà” o, meglio “impoverimento”, è considerato insieme alla giustizia sociale e alla passione politica, che richiede un cambio di parametro anche alla Chiesa. “Il Vangelo ci chiede di assumere la povertà, mentre l’Occidente sta andando verso il suicidio, mettendo al vertice il profitto economico”. Si evidenzia quanto le teologie indie possono insegnare alle teologie tradizionali a proposito, proponendo la logica rovesciata del Regno di Dio rivelato ai piccoli e ai poveri, non ai sapienti e ai dotti. Hanno individuato una forma di periferia – trovando riscontri anche nella realtà trentina – nella povertà dell’educazione. “Essa rischia di essere luogo di discriminazione tra più ricchi e più poveri”, hanno detto alcuni missionari impegnati nelle scuole per salvaguardare anche l’identità sociale e culturale dei ragazzi. Nel corso del dialogo con i trentini, forte è stata la sottolineatura della forza di comunità anche piccole ma fraterne, primo luogo in cui praticare una lettura dei segni dei tempi e intervenire in modo condiviso, senza delegare gli interventi.
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