Saranno aperte fino al prossimo 17 febbraio le porte di Centrale Fies, che ha deciso di mostrare parte della sua collezione privata al pubblico, attraverso un’esposizione, curata da Denis Isaia, che presenta una selezione proveniente dalla prima raccolta italiana di opere mutuate alle arti performative: Collezione Fies.
La collezione ad oggi è composta da sole 26 opere, patrimonio tanto piccolo quanto prezioso, opere donate da artiste e artisti nel corso degli anni al centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. Collezione Fies è allo stesso tempo sia collezione che strumento di ricerca e si basa sull’esclusività rispetto al medium, ossia solo performance e solo live. Con questa pratica ci si vuole focalizzare non tanto sulla trasformazione dell’opera in un feticcio di quello che è accaduto durante l’azione performativa, piuttosto sullo svelamento dell’azione stessa, intesa come congegno riattivatore. Ogni opera è legata a una performance passata, di cui l’archivio online di Centrale Fies tiene traccia attraverso video, foto e spesso documenti e interviste, al quale chiunque vi può accedere. La mostra nasce da un’idea del curatore Denis Isaia, per valorizzare la collezione attraverso una serie di progetti espositivi che, di volta in volta, toccheranno temi e immaginari differenti.
“per noi è interessante cercare di capire come si posizioni un oggetto tra l’azione passata che lo ha generato e il suo continuare a vivere in contesti diversi, ma anche in maniera speculativa chiedersi quante azioni potrebbero nascere da un solo oggetto. Collezione Fies è inoltre vincitrice della seconda edizione del Concorso i6 dedicato alle realtà indipendenti italiane che sperimentano la ricerca nei linguaggi del Contemporaneo di ArtVerona | Art Project Fair. Nel 2014 era stata individuata come il miglior progetto declinato sul tema della qualità”, spiega il curatore Denis Isaia.
Il pubblico si troverà dinanzi a una selezione di 11 opere, ognuna delle quali legate a un’azione performativa citata tramite QR-code. Come nel caso di Vynil with performance ashes, l’opera di Francesca Grilli: un disco in vinile sul quale sono state registrate tracce audio durante la performance a Centrale Fies nel 2001, un concerto per archi di alcuni brani di musica italiana eliminati o modificati dalla censura e riproposti nella loro originalità ed integrità musicale. All’interno del vinile le ceneri degli spartiti infuocati durante il concerto, a risancire l’azione riflessiva della performance sul concetto di censura. In #Ed3n & The Perfect Life di Mara Oscar Cassiani, la dinamica oggetto perfomance è ancora differente: l’opera è un corpo di oggetti che posizionati in qualsiasi spazio evocano una diversa performatività, creando uno spazio nello spazio: una SPA per la meditazione e la cura del corpo. La scultura di Riccardo Giacconi, titolata The Variational Status, è invece parte di un’azione performativa che lasciava all’oggetto grande centralità: una marionetta automatica, costruita dalla storica Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, a celebrare il teatro in una delle sue forme più iconiche e storiche.
Dell’artista Simon Asencio troviamo in mostra The Vain Dreamer (1765)], Flute, opera scultorea facente parte di una serie di strumenti a fiato in maiolica che rendono omaggio a canti anonimi compilati da John S. Farmer, lessicografo, spiritualista e scrittore britannico, noto per il suo dizionario di slang in sette volumi. L’opera è un flauto composto da due mani intrecciate, strumento pensato come ausilio per coloro che hanno perso la capacità di cantare e fare poesia, in una considerazione più ampia di come slang e canti vernacolari, siano stati in realtà la base per la poetica e la poesia più alta.
Alcune delle opere di Collezione Fies sono invece tracce di ciò che è avvenuto, ma sono capaci di riempire lo spazio con una vita e narrazione propria, come nel caso dell’opera di Moving Landscape, di Darius Dolatyari-Dolatdoust, che arriva dalla performance agita all’interno di Storia Notturna (collettiva del 2020, centrale Fies a cura di Simone Frangi e Barbara Boninsegna) ed è un grande lavoro tessile che mischia gli immaginari dell’artista, che utilizza le proprie opere materiche per performarle col corpo. Anagoor, crew artistica teatrale e performativa, è presente in collezione con una scansione in 3d di una statua classica, raffigurante Apollo, in un’operazione di “raccolta di una realtà lunga 2500 anni, come il frontone del tempio di Zeus a Olimpia”, per darne una nuova identità digitale; infine le opere di Curt Steckel e Filippo Minelli, che nascono proprio per essere traccia. Entrambe le opere (una scultorea e l’altra fotografica) sono state creata all’interno di unseen perfomance, ossia performance agite in assenza di pubblico: la prima costruita poco prima del momento dell’entrata del pubblico in sala, che si ritrova a viverne le tracce, gli odori e l’energia di quello che è successo un attimo prima, e vendendone gli esiti e non il suo svolgersi; la seconda fermata da una fotografia.
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