Felice come un ragazzino che torna alla casa delle vacanze. Rivedo papa Ratzinger in quell’agosto 2008, avvolto nel calore di Bressanone: stringe le mani dell’anziana Gertrude, ascolta l’organo in San Michele, gusta il profumo dello Schwarzbrot.
Amava questa terra di confine, le sue montagne e la musica, compagna di una vita: da padre della Chiesa a “nonno” per tutti noi.
Alto Adige e Trentino gli facevano respirare la sua Baviera, ritrovare le radici familiari a Rio Pusteria sulla tomba del bisnonno Anton. Vi trascorse ben dieci estati a passeggiare sulle strade acciottolate di Bressanone e a studiare nella biblioteca del Seminario brissinese, dove poteva anche ripassare Mozart al pianoforte.
Chi lo avvicinava – come accadde nella sua visita del 2004 a Trento e prima ancora a Sanzeno con mons. Severino Visintainer – restava colpito da quella sua mite gentilezza, che rendeva ingenerosa l’etichetta giornalistica del “severo custode della fede”, appiccicatagli addosso come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.
Più che intransigente guardiano dell’ortodossia, Joseph Ratzinger andrà considerato come un “padre della Chiesa”, come lo ha definito l’amico e discepolo Christoph Schonborn, Arcivescovo di Vienna, per l’originalità e la profondità con cui ha saputo condurre e orientare la ricerca teologica negli anni del dopo Concilio Vaticano II, al quale aveva preso parte attiva come consulente dell’Arcivescovo di Colonia Joseph Frinks.
“Ecco che arriva il futuro della Chiesa”, disse un giorno il maestro filosofo Karl Rahner presentando il giovane studioso Ratzinger ai giornalisti e molti esperti ritrovano la sua visione aperta al dialogo fra il cristianesimo e il mondo moderno nello stile di alcuni testi conciliari: più che “ultimo conservatore” Ratzinger va annoverato in quel progressismo che riconosce l’efficace incontro tra fede e ragione e la fecondità della verità cristiana dentro la cultura e le fatiche del nostro tempo, perchè “Dio è carità” (il tema della sua prima enciclica). Prima investito dalla “liberazione teologica” degli anni Sessanta, poi aperto al confronto con pensatori laici come Pera e Habermas, Ratzinger ha cercato con prudenza sul piano dottrinale di mantenere saldi i fondamenti della fede, senza dare credito a “tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi invece essere semplici ipotesi”, come ha tenuto a precisare nel suo testamento. Sul piano pastorale hanno la lucidità di una profezia alcune sue visioni – quelle espresse a Friburgo nel 2011 e ad Aparecida nel 2007, ad esempio, citate dall’arcivescovo Tisi – mentre gli impegni ad eliminare “la sporcizia nella Chiesa” e imporre la “tolleranza zero” verso gli abusi sui minori restano ancora validi ed urgenti.
Il suo stile di relazione con la gente – forse un po’ rigido all’inizio, mai austero, sempre attento alle persone – si è via via sciolto negli incontri affollati e nei viaggi (si leggano nello speciale in edicola con il numero di Vita Trentina le note di diario affidateci da don Giulio Viviani) fino alla giustificata e illuminante scelta delle dimissioni, che ha aiutato anche ad “umanizzare” la figura papale. “Ho detto tante volte – ha notato a proposito papa Francesco – che mi piaceva tanto che papa Benedetto stesse qui vicino, che abitasse in Vaticano, perché era come avere il nonno saggio a casa”.
Il prof. Raztinger ha saputo “farsi nonno”: in disparte, ma presente nei momenti importanti; più dedito al tempo della preghiera e al recupero delle energie fisiche; paziente nell’accettare le limitazioni della vecchiaia; rispettoso del suo successore, ma anche disposto a dare consigli agli ospiti e intervenire a richiesta su questioni specifiche. Anche attraverso il suo papato “emerito” ci ha dato una lezione di umanità e di fede, da non dimenticare anche nelle fasi di passaggio della nostra vita.
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