Le navate raccontano un’anima viva

Un’invasione di luce, un’esplosione di colori: 25 affreschi “restituiti” allo splendore dei loro artisti, tutti i marmi tornati alla primitiva lucentezza. Si prova stupore a rivedere la Cattedrale di Trento, come il maestro Adamo D’Arogno l’ha costruita.

Eppure il sapiente restauro che sabato 10 dicembre viene “benedetto” dagli arcivescovi Ivan e Lauro è molto di più di un’operazione estetica. Rappresenta un segno di riconoscenza ai nostri avi che vollero edificare sul luogo in cui il vescovo Vigilio aveva onorato i Martiri Anauniesi (e dove poi fu deposto) una “casa comune” in cui manifestare la fede nel Cristo Risorto. In Duomo sono loro a parlarci ancora, loro che avevano aperto al Vangelo le nostre valli “sorde e concave“, secondo la citazione vigiliana ripresa dal decano del Capitolo mons. Ludovico Maule.

Quest’impresa titanica durata dieci anni di progetti e di restauro, ma il cui disegno originario risale a 25 anni fa – ne è testimone commosso l’arch. Ivo Maria Bonapace, ancora alla regia dei lavori – si deve alla lungimiranza dell’Arcivescovo emerito Luigi Bressan, come ha premesso in conferenza stampa mons. Tisi, sulla scia degli arcivescovi Gottardi e Sartori.

L’esito del restauro, così brillante e insieme rispettoso della storia, nasconde agli occhi un altro significato decisivo di questo cantiere: il consolidamento statico, richiesto dai primi monitoraggi. Altrimenti, scosse di terremoto e il logorio atmosferico avrebbero comportato il rischio di crolli, come quello che nel 1997 vide implodere la cupola della Basilica di San Francesco ad Assisi.

Dopo aver “studiato” la cura ricostituente per i piloni, i tecnici coordinati dall’ing. Edoardo Iob hanno applicato e “mascherato” un sistema di tiranti che non solo protegge la struttura del Duomo come una corazza invisibile, ma ne consente anche il monitoraggio costante. Una Cattedrale mai vista così, luminosa e sicura, è “cuore” di un’attrazione turistica a forte valenza culturale evidenziata per la Provincia autonoma dal Sovrintendente Franco Marzatico.

Un investimento pubblico e diocesano che ora ci chiama a responsabilità e a testimonianza rinnovata: le navate del Duomo di Trento custodiscono l’anima viva di un popolo che da Vigilio in poi ha alimentato valori di fraternità, spiritualità e solidarietà globale incarnati anche da testimoni che pregarono davanti agli altari della Cattedrale. Come Daniele Comboni che evangelizzò l’Africa, Chiara Lubich che all’Addolorata affidò i suoi sogni di comunione. O Santa Paolina Visintainer che qui rappresenta tutti i migranti e Antonio Rosmini con le sue intuizioni di parroco dalla carità intellettuale.

Quest’anima ereditata dai nonni va ora consegnata ai nostri nipotini che entrano in Duomo: le pietre restaurate – come quelle di un capitello di campagna o di una chiesetta alpina – li rimandano alla pagina del Vangelo della Casa costruita sulla roccia, quella che non va in rovina.

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