Mal di pancia e rivalità all’Europarlamento

EP Plenary session – Voting session

Il Parlamento europeo agisce molto spesso come cartina da tornasole sulle vere intenzioni e orientamenti dei partiti nazionali che lo compongono. La scorsa settimana si sono infatti succedute a breve distanza due votazioni, su altrettante risoluzioni, che hanno messo in luce i mal di pancia e le rivalità che albergano nelle coalizioni partitiche italiane.

La prima a palesare le difficoltà ad agire in comune è stata la coalizione di centrosinistra, oggi all’opposizione del governo Meloni. La votazione riguardava la decisione di definire la Russia come “stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino”.

La risoluzione, che non ha alcun effetto giuridico ma solo politico, è passata con un quasi-plebiscito di 494 voti a favore. I voti contrari sono stati 58 e gli astenuti 44. Peccato che a dare man forte agli astenuti siano intervenuti i voti di tutta la delegazione del M5S. La ragione, a sentire i loro portavoce, è dovuta alla mancanza della parola “pace” nel testo della risoluzione.

Difficile in realtà inserire questa prospettiva di fronte agli atti di un regime che terrorizza la popolazione civile con missili sulle infrastrutture dell’elettricità e dell’acqua nel gelo dell’inverno o che bombarda senza alcuna ragione, se non quella di terrorizzare, abitazioni residenziali ed ospedali.

Lo stesso papa Francesco nella udienza generale della scorsa settimana ha addirittura citato l’Holodomor, lo sterminio per fame di diversi milioni di ucraini causato artificialmente da Stalin nel 1932-33, comparandolo ai fatti di oggi che vedono “tanti bambini, donne e anziani soffrire il martirio dell’aggressione”.

Oggi quindi non sono in discussione le ambiguità italiane del M5S sull’invio delle armi all’Ucraina per difendere il proprio territorio, ma la decisione di ribadire a livello europeo l’inappellabile condanna del regime di Mosca e delle sue azioni terroristiche.

Vi è anche da aggiungere che ad aggravare l’immagine di frammentazione della coalizione italiana di centrosinistra vi è stato anche il voto contrario di tre esponenti del PD che si sono staccati dal voto favorevole del gruppo dei Socialisti e Democratici europei cui fanno parte.

Insomma, anche a Strasburgo si sono manifestate le divisioni e le difficoltà di una coalizione che esiste solo sulla carta e non sui temi cruciali.

Discorso che può valere anche per la coalizione dei partiti di governo. In effetti la seconda risoluzione del Parlamento europeo riguardava una pressante richiesta alla Commissione di Bruxelles di bloccare i fondi strutturali per l’Ungheria, circa 7,5 miliardi di euro, per non avere adempiuto alle 17 misure correttive anti corruzione necessarie a ristabilire onestà e trasparenza nell’uso di questa pioggia di denaro.

I voti favorevoli sono stati 416, i contrari ben 124 mentre gli astenuti hanno contato 33 voti.

Questa volta a dare man forte al regime di Viktor Orbàn sono stati i voti contrari delle delegazioni di FdI e della Lega, mentre Forza Italia è rimasta fedele al proprio gruppo politico dei Popolari europei che si è espresso a favore della risoluzione.

Ma non è tanto il diverso atteggiamento sul voto a preoccupare. Se la risoluzione del PE non è vincolante, tuttavia essa apre la strada alla Commissione europea per raccomandare al prossimo Consiglio dei ministri finanziari dell’UE la condanna dell’Ungheria per non avere adempiuto alle richieste di correzione alle sue storture interne sullo stato di diritto.

Perché questa richiesta diventi effettiva occorre che il Consiglio l’approvi a maggioranza qualificata. Il meccanismo di voto europeo prevede che tale maggioranza si raggiunga quando almeno 15 stati membri, in rappresentanza del 55% della popolazione, votino a favore. Ma vi è anche la possibilità di vedere emergere una minoranza di blocco, la cui composizione minima deve essere di 4 stati membri in rappresentanza di almeno il 35% della popolazione UE. I quattro in teoria potrebbero essere quelli del gruppo di Visegrad: oltre all’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia e la Repubblica Ceca. Ma quest’ultima è attualmente presidente di turno dell’UE e la prassi indica che di solito il paese che ricopre questa funzione si astenga.

Ecco, quindi, l’interrogativo su quale potrà essere la posizione del governo italiano.

Il peso del nostro paese, anche in termini di popolazione, è tale che alla fine una minoranza di blocco si potrebbe davvero prospettare. Purché si sappia che una posizione di questo genere significherebbe l’appoggio a paesi, Ungheria e Polonia, che hanno affossato le regole democratiche al proprio interno e che stanno conducendo una battaglia per “svuotare” di competenze Bruxelles, ridando priorità alle legislazioni nazionali a scapito di quelle comunitarie.

Una cattiva compagnia per chi crede nel valore del processo di integrazione europea.

vitaTrentina

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