Al Cinquantesimo della mia prima Messa ho fatto una scommessa – immaginate con chi –: “Prima di morire voglio vedere un successore”. Sono passati nove anni – e si fa tardi – e un successore non l’ho ancora nemmeno intravisto. Però l’anno scorso a Cavedine, al funerale di don Silvio ho avuto come una illuminazione, come una consolazione. La chiesa era affollata dentro e fuori – era tempo di Covid -: gente che veniva da fuori, da Piné, da Trento, forse dall’Azione Cattolica-Giovani (quando lo erano ancora). “Ecco, ho pensato, chi sono i successori del Prete Silvio Benedetti”.
La stessa impressione, la settimana seguente, a Pozza di Fassa al funerale di don Albino Bernard, di cui ero stato ultimo collaboratore in quel di Trambileno: una corriera di successori del parroco don Albino.
Una folla di successori, proprio miei successori, li ho incontrati la settimana scorsa a Pergine, al funerale di una di loro, la carissima Elena, tutta casa e chiesa, canonica e catechesi. Oltre a don Antonio, al quale avevo passato il testimone otto anni fa, c’erano tre ex-cappellani; il coro al completo; uomini e donne che tengono in piedi l’oratorio e aprono la chiesa; catechiste e catechisti… Un’ora c’è voluta, fuori dal cimitero, per scambiarci ricordi e auguri.
Insomma ho capito che la Chiesa non va avanti per successioni nobiliari o ministeriali; ho capito che una parrocchia non muore con il parroco… e che una chiesa non si deve chiudere perché non c’è il Santissimo. Ho capito che la Chiesa succede alla Chiesa; e che il vero parroco è Gesù, che il Risorto 2000 anni fa è vivo adesso; e che se “due o più si uniscono nel suo nome, Lui è in mezzo a loro”; e che non è il numero che conta e che comunque nessun numero è chiuso e che….
A dire peraltro il vero l’idea fissa del “successore” non era nata in me solo dalla “carenza di vocazioni”, ma dal fatto che da ragazzo, entrando in Seminario non volevo diventar prete, ma parroco, parroco come il mio parroco.
Glielo avevo detto personalmente tanti anni dopo, incontrandolo in Curia: “è colpa sua se sono diventato prete!”. Non ho mai visto un volto novantenne così illuminato e compiaciuto. Era don Modesto Lunelli, “don Malizia”, come lo chiamavano per la sua giocosità. A 57 anni l’ho ripetuto anche al Vescovo Sartori: “…non volevo diventare prete, tantomeno monsignore di Curia, ma parroco di parrocchia… prima che sia troppo tardi, sarebbe ora che…”. Una settimana dopo mi sono ritrovato la nomina a parroco, finalmente.
Non ho cessato tuttavia di pregare per un successore, ma con orizzonti più aperti. E mi è nata una nuova grande speranza per il futuro della Chiesa e del Vangelo, anche per la nostra Chiesa Tridentina che ha solo 5 aspiranti al sacerdozio e 450 parrocchie. Credo nella Santa Chiesa Cattolica. Ho appreso dalle Chiese di missione che c’è un fiorire in tutto il mondo di Piccole Comunità Cristiane, in Africa, in Asia e perfino in Cina.
Sono Chiese incarnate nel territorio, raccolte attorno al Risorto, nate e cresciute nell’ascolto della sua Parola.
Qualcosa di simile sento che sta avvenendo tra noi a tutti i livelli: nel Cammino Sinodale, nei “Passi di Vangelo” per i giovani, nell’assunzione di responsabilità da parte dei Comitati locali… “Piccolo è Grande” è il titolo dell’ultimo capitolo di un libro che sto leggendo, scritto a più mani da credenti del Sud e del Nord, un libro intitolato appunto “Piccole Comunità Cristiane”. “Piccolo è Grande”, è il sogno che ho davanti per i campanili delle nostre parrocchie, dei nostri paesi, piccoli e grandi…
Lascia una recensione