Sono già due i gruppi di auto mutuo aiuto attivi sul territorio provinciale per i genitori di “hikikomori”, dei giovani che scelgono di rinchiudersi nella propria stanza o nella propria casa al riparo da un mondo competitivo per il quale sentono di non avere i “codici di accesso”.
“Abbiamo iniziato ad occuparci del tema nel 2016, ma dopo il lockdown le richieste d’aiuto da parte delle famiglie sono aumentate e vorremmo attivare un terzo gruppo”, spiega Giulia Tomasi, psicologa dell’associazione Ama. Per questo a metà settembre sarà lanciata una campagna di crowdfunding per sostenere il progetto “Hikikomori – la vita oltre la stanza”, di cui si parlerà nel corso di un webinar informativo giovedì 22 settembre alle 20 (qui per iscriversi).
In Italia si stima che ci siano 120 mila giovani che scelgono il “ritiro sociale”. “Quello che più preoccupa genitori e docenti è che questi ragazzi manifestano una difficoltà ad andare a scuola, fino ad arrivare alla dispersione scolastica”, prosegue Tomasi, precisando che non in tutti i casi un ragazzo o una ragazza che si ritira nella sua stanza è definibile come “hikikomori”. “In alcuni casi si parla di Neet, ragazzi che non lavorano, non studiano e non svolgono un tirocinio”, aggiunge la psicologa. “Il caso degli ‘hikikomori’ però si distingue per un rifiuto delle regole che vigono nella società attuale. Un mondo che ci vuole competitivi, pieni di amici e prestazionali. L’’hikikomori’ scardina questo pensiero, e dice: ‘Io a queste regole non ci gioco. Voglio altro’. Si tratta infatti di ragazzi molto intelligenti e sensibili, che portano domande molto profonde. Non hanno una fobia scolare: magari un po’ di paura c’è, ma tutto parte dalle domande che si pongono, alle quali reagiscono chiudendosi in casa”.
Come si deve comportare un genitore in una situazione di questo tipo? “Il consiglio per eccellenza – spiega Tomasi – è quello di cercare di sintonizzarsi con le difficoltà del ragazzo. Se dice che non vuole uscire di casa, il genitore, per quanto doloroso sia, deve provare ad accettarlo. Ed è difficile, perché l’istinto porta l’adulto ad attivarsi come se avesse a che fare con un bambino, mettendosi in contatto con amici e professori e non capendo che questi sono comportamenti controproducenti che possono aumentare la chiusura. Se siamo sicuri che abbiamo a che fare con un ‘hikikomori’, e non sempre è così, il primo passo, che può sembrare controintuitivo, è quello di stare fermi, accettare la scelta del ragazzo e comprenderla”.
Il progetto che l’associazione Ama sta immaginando si rivolgerebbe ai genitori degli “hikikomori” in fase di uscita. “Spesso il primo aggancio di un ‘hikikomori’ con il mondo esterno è l’educatore domiciliare – conclude Giulia Tomasi – che va a casa del ragazzo e funge da ‘ponte sensibile’ con il resto del mondo. Si tratta di una figura che mostra interesse per il ragazzo in sé e non per le sue performance”.
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