4 settembre 2022 – Domenica XXIII del tempo ordinario C
Sap 9,13-18; Fm 9-10.12-17; Lc 14,25-39
«Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me non può essere mio discepolo». Lc 14,27
Ci sono realtà comprensibili a prima vista e ci sono realtà comprensibili solo se qualcuno le rivela. La stessa scienza è capace di spiegare come si compone la materia, di cosa siamo fatti e come funzioniamo, ma non è in grado di dire più di tanto sul perché esistiamo, sul senso della vita e del creato, sul verso dove siamo incamminati. Con il nostro povero pensiero, senza l’illuminazione dello Spirito Santo e senza lo strumento della Parola di Dio, non siamo in grado di conoscere né il volere del Signore, né il suo pensiero, né il suo modo di agire: «Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?» (Sap 9,17). Al tempo stesso è importante che impariamo qualcosa dalla personale esperienza del limite, quando riflettiamo sul fatto che la nostra vita è breve: «Insegnaci a contare i nostri giorni / e acquisteremo un cuore saggio» (cfr Sal 90,12).
Una realtà sopra tutte non siamo in grado di cogliere se Dio non ci illumina: la realtà della croce di Cristo e la realtà della nostra croce. Questa domenica Gesù vuole aprire la nostra mente, il nostro cuore e la nostra vita proprio alla sapienza della croce. Lo fa attraverso parole volutamente provocatorie: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me non può essere mio discepolo. Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26-27.33). Nel testo originale Gesù usa un’espressione semitica molto più forte: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e perfino la propria vita non può essere mio discepolo». Che cosa ci vuol dire Gesù? Perché un linguaggio così forte così duro?
Leggendo queste espressioni nel contesto della sua vita e del suo insegnamento sappiamo che Gesù non intende abolire il quarto comandamento, né invitare le famiglie a dividersi, tantomeno vuole spingere le persone a danneggiare se stesse. Gesù invita piuttosto a relativizzare ogni realtà e ogni bene di questo mondo perché nulla deve essere anteposto alla relazione con lui e al seguire lui: tutte le realtà e i beni umani vanno vissuti all’interno del «seguire Cristo» e non in alternativa o in opposizione al «seguire Cristo». Questo può portare talvolta a forme di autentica rinuncia ed abbandono, lì dove gli affetti, la famiglia, i beni o il lavoro ci spingessero lontani dalla via di Cristo. Non dimentichiamolo: tutto ciò che ci allontana da Gesù non potrà mai costituire il bene vero e profondo della nostra vita. Inoltre, va detto chiaramente, se qualcosa o qualcuno prende il posto di Gesù nella nostra vita stiamo cadendo nell’idolatria. E gli idoli non portano salvezza, non danno vita e non danno nemmeno senso alla vita.
Accettare di percorrere la via della croce con Gesù Cristo, che per primo ha rinunciato alla vita (=l’ha donata) in nostro favore, porta a scelte e comportamenti concreti in tutti gli ambiti dell’esistenza, compreso l’ambito economico-relazionale. È questo il senso del biglietto che san Paolo scrive all’amico Filemone (seconda lettura): il padrone (Filemone) deve accogliere lo schiavo (Onesimo) come un fratello; entrambi sono stati immersi nella morte e risurrezione di Cristo, entrambi sono stati redenti dalla croce di Cristo. La sapienza della croce non porta alla distruzione della persona umana ma al riconoscimento del suo valore ultimo e della sua dignità profonda. Se arriva a relativizzare i legami di sangue è per farci scoprire che nella croce di Cristo siamo diventati tutti fratelli, parte di un’unica famiglia. E se la sapienza della croce ci porta a relativizzare la nostra stessa vita è per farci scoprire il senso profondo della vita, portandoci a rinunciare alla nostra pur di non toglierla a un’altra persona. La sapienza della croce ci invita a relativizzare tutto e tutti non per amare di meno ma per imparare ad amare senza parzialità, per imparare ad amare come Cristo: con tutto ciò che siamo, fino a donare la vita.
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