Il sogno democratico è definitivamente svanito il 25 luglio 2022. Il referendum costituzionale in Tunisia, che tramuta lo stato da repubblica parlamentare a regime iper-presidenziale ed autoritario, ha avuto un sostegno inaspettatamente alto. Ben il 94,6% degli elettori ha approvato la riforma voluta dall’attuale presidente Kais Saied. Va tuttavia precisato che al voto hanno partecipato solo il 30,5% degli aventi diritto e che il referendum non aveva quorum, come dovrebbe succedere in una normale democrazia. Ma la Tunisia già da un anno non era più una democrazia, per quanto debole, dal momento che lo stesso Saied con un colpo di stato aveva sciolto il parlamento e mandato a casa il primo ministro. Questa nuova costituzione pone fine anche a quelle che erano state chiamate Primavere Arabe, nate all’inizio del 2011 proprio in Tunisia, dopo che a metà dicembre del 2010 il giovane Mohamed Bouazizi si era dato fuoco per protesta contro le brutalità subìte dalla polizia. Un emulo nel mondo arabo del ceco Jan Palach, che nel lontano 1969 si era immolato sulla piazza di Praga per lottare contro l’oppressione sovietica. Da Tunisi si era quindi innescata una reazione a catena che si era estesa all’Egitto, Libia, Siria, Yemen e altri paesi dell’Africa del Nord e del Medio Oriente. Rivolte popolari per chiedere democrazia, libertà, diritti umani e perequazione economica.
Il mondo occidentale non comprese subito quello che stava accadendo e si dimostrò quindi incerto sul sostegno da continuare ad offrire ai regimi dittatoriali sotto attacco nei vari paesi. Salvo poi ripensarci, come nel caso libico o siriano, sia intervenendo direttamente in guerra contro il dittatore di turno (la Libia di Gheddafi), sia appoggiando i gruppi ribelli (in Siria contro Assad). Il risultato a 12 anni di distanza non è davvero incoraggiante, anzi esattamente il contrario. In Egitto dopo una breve parentesi ha ripreso il potere l’esercito con il generale al-Sisi, in Siria il presidente Assad si regge ancora con l’aiuto iraniano e russo, in Libia la guerra civile non cessa di sconvolgere quel paese. Ed ora a chiudere il cerchio ecco la parola fine al tentativo democratico in Tunisia dove tutto era cominciato. La realtà è che la democrazia è la forma di governo più complessa e difficile da mantenere intatta nel tempo.
Ci si era illusi, dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, che il modello democratico si sarebbe ormai imposto nel mondo. L’essere infatti riusciti a sconfiggere il regime dittatoriale a Mosca, senza guerre o spargimento di sangue, aveva davvero fatto credere che “la storia fosse finita” (Fukuyama) e che molti paesi nel mondo avrebbero abbracciato il verbo e il modello dell’Occidente. Dal 1991, crollo dell’Urss, fino al 2001 si aprirono infatti le porte ad un decennio che i politologi francesi definirono come la “Belle Epoque” della democrazia. Ci pensò l’attacco alle due torri del settembre 2001 a riportarci con i piedi per terra. Il terrorismo di Al Qaeda fece perdere la testa agli americani. Sulla spinta dei neoconservatori si volle fare credere che i terroristi si potevano battere portando la democrazia sulla punta delle baionette nei paesi da cui provenivano. Si avviarono così le disgraziate guerre in Afghanistan e in Iraq e la creazione artificiosa di pseudo-democrazie all’indomani delle guerre.
Sembrò quindi un miracolo che dieci anni dopo, nel 2011, si risvegliasse spontaneamente nei paesi arabi una richiesta potente di democrazia. Di qui la sorpresa dell’Europa e degli Usa che nel 2011 avevano già constatato il fallimento delle democrazie “imposte” dall’esterno e non pensavano che esse potessero nascere dall’interno dei regimi autoritari. Di qui un cumulo di errori dell’occidente anche nel decennio successivo ed una conseguente, graduale accettazione del ritorno a modelli autoritari più stabili (per gli interessi occidentali) e meno problematici. Anche in Tunisia è quindi tornato a prevalere il volto del populismo di fronte all’inefficienza della democrazia, incapace di risolvere i problemi sociali ed economici delle popolazioni, e facile preda di corruzione e incompetenza politica. Così si spiega anche la difficoltà delle forze di opposizione tunisine a bloccare la deriva autoritaria di Saied e l’indifferenza della popolazione dopo anni di pessima condotta politica dei governi e parlamenti che si sono succeduti nel tempo. Per di più gli anni della pandemia, il crollo conseguente del turismo, gli effetti dell’aumento del costo del pane a causa della guerra Russo-Ucraina non hanno fatto altro che fare precipitare la situazione.
Cade quindi l’ultimo baluardo democratico nel Nord Africa, pessima notizia per l’Italia che sta già vedendo gli effetti della crisi con un aumento degli sbarchi clandestini dalla Tunisia. Ma anche una brutta notizia per l’UE che ha distribuito grandi quantità di aiuti alle autorità tunisine, ma che ha guardato anche con grande distrazione alla progressiva erosione della democrazia in quel paese.
È certo che la democrazia non si esporta (soprattutto con le armi), ma che neppure cresce spontaneamente se non è accompagnata da un profondo coinvolgimento della società. Non bastano davvero i soldi ai governi per sostenerla, ma la vicinanza politica e sociale e l’inclusione in un contesto di collaborazione diretta fra società europee e arabe. Cosa che non è avvenuta nel caso della Tunisia.
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